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Non desiderare... (10° Parola)

Il 17 gennaio si è svolta a Ravenna la giornata di approfondimento del dialogo E-C, che precede la settimana di preghiera per l'unità dei cristiani, organizzata dalla Diocesi.
"Copertina" della  musicista Federica Maglioni, allieva di ebraico biblico, che ha suonato un pezzo al bansuri (=canna-soffio)  (1)  un flauto di canna, strumento antichissimo proveniente dall'India, traendone suoni arcaici che mi hanno ricordato Mewlana. A Konya (Turchia), che fu la prima capitale dei Turchi Selgiuchidi, sorge il santuario di Mewlana, maestro e massimo poeta dell’Islam e inventore dei "dervisci roteanti", vissuto nel XIII secolo.
Questa è una sua poesia:

"Ascolta il flauto di canna quante cose narra
e come triste lamenta la sua separazione;
da quando sono stato strappato dal canneto
il dolce mio suono fa gemere uomini e donne"
.

Don Dario Kasicki, incaricato della Diocesi per l'ecumenismo e il dialogo, ha presentato l' oratrice  invitata per l'occasione, la professoressa  Ida Zatelli, ordinaria di Lingua e Letteratura ebraica all'Università di Firenze, leggendo il suo ricco curriculum; poi ha esposto  il tema che sarà trattato nella giornata: il 10° Comandamento; esso conclude il ciclo del Decalogo, ma non il cammino del dialogo ebraico cristiano che non si ferma, ma continuerà sempre alla ricerca di radici e tradizioni comuni. Ha poi letto una preghiera all'Eterno e chiesto un momento di raccoglimento.

Maria Angela ha rievocato l'antica conoscenza e amicizia che la lega a Ida Zatelli e la comunità di intenti e studi che unisce i loro cammini.

Ida Zatelli ha iniziato ringraziando don Dario e Maria Angela, ha espresso il suo piacere di venire a Ravenna, le cui basiliche bizantine ci parlano  del cristianesimo delle origini attraverso i più antichi simboli cristiani riprodotti a mosaico.
Il testo del X Comandamento è importantissimo, ed è  attraverso l'analisi delle radici verbali usate che  Ida Zatelli, per la sua formazione filologica, va alla scoperta del suo significato primigenio.
Vi sono due redazioni del Decalogo, una  in Esodo, l'altra in Deuteronomio, (e inoltre alcune  frasi del Decalogo sono riprese nel Nuovo Testamento). Fra queste due redazioni vi sono varianti molto interessanti.
Esodo 20,17 è la redazione più antica, di tradizione elohista (2).
La Decima Parola in Esodo recita:
"Non desiderare la casa del tuo prossimo. Non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo".  Il verbo usato per esprimere il significato di desiderare  deriva dalla radice
חמד (chamad) che significa desiderio intenso, voler avere per sé. Il divieto di questo comandamento, insieme agli altri, ci riconduce al rispetto per gli altri che troviamo in quella frase che è la sintesi di tutti i Comandamenti, in Lev. 19-18: "Non vendicarti e non conservare rancore verso i figli del tuo popolo, e desidera per il tuo prossimo quello che desideri per te".
La redazione di Deut 5,18 è più tarda: "Non desiderare la moglie del tuo prossimo e non desiderare la casa del tuo prossimo né il suo campo né il suo schiavo né la sua schiava né il suo bue né il suo asino né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo". Qui la posizione della donna è migliorata, perché essa viene messa al primo posto nella graduatoria delle cose da non desiderare, poi segue il resto in ordine di importanza. Dunque nei due testi la posizione della donna è diversa; nel primo la moglie fa parte di tutto il possesso del marito, nel secondo no. Il linguaggio è giuridico, cioè ogni parola ha un suo significato particolare, e non poetico (che attinge alla sfera delle sensazioni). Dunque rileviamo che al tempo della redazione del Deuteronomio la moglie era arrivata ad avere uno stato giuridico inferiore sì a quello del marito, ma superiore quello degli altri possedimenti di un uomo. Qui la donna ha un posto specifico, c'è un progresso nella sua posizioone, le vengono riconosciuti alcuni diritti. Nel Deuteronomio abbiamo una forma di umanesimo sconosciuta prima, ci sono leggi molto belle che derivano dal nuovo ideale monoteistico del "Dio Padre" attento per es. alla vedova, all'orfano, allo straniero, all'immigrato, a chi non aveva diritti insomma. Nessuno proteggeva queste categorie, perciò Dio stesso se ne fa tutore.
Poi c'è il termine "desiderio" da analizzare. Che cosa è questo desiderio? La parola usata (
חמד chamad) sta nella sfera semantica dell'agognare qualcosa per raggiungerne il possesso, per prendere. Prendere, afferrare, rubare.
Per quanto riguarda la donna,  c'è un collegamento  con il VI comandamento: "Non commettere adulterio". Non è illecito desiderare, anzi a volte è positivo; è negativo quando sottintende l'intenzione di prendere possesso, a fine di dominazione, oppressione. Bisogna vedere come gestiamo la pulsione, se ci avviciniamo al prossimo con prevaricazione; questo è il contrario del bene.
La considerazione della donna ha avuto un'evoluzione nel tempo: inizialmente è considerata senza diritti, addirittura pericolosa. Nella Bibbia questa visione è ribaltata da testi straordinari, come il Cantico dei Cantici, che Ida Zatelli ritiene sia stato scritto da una poetessa. C'erano  poetesse nell'antichità, es. in Egitto, anche delle musiciste, delle arpiste alla corte del faraone: esse avevano il compito di allietare i faraoni, ma con la loro arte esprimevano anche i propri sentimenti. C'è qui una forza innocente del desiderio, finalizzato all'amore. L'amata del Cantico dei Cantici dice: "Io sono del mio amato, ma aggiunge: e lui è mio". Dunque rivendica un livello di parità in un rapporto fisico, sensuale, con versi arditi, ma finalizzati all'amore.
Esiste in ebraico una parola che esprime il desiderio:
תשוקה (teshuqà) = desiderio, brama. Essa  ricorre tre volte nel testo biblico, ogni volta con un senso particolare:
1)Nella cacciata dall'Eden (Genesi 3,16) : "...avrai desiderio di tuo marito, egli dominerà su di te". Questa è una condanna per la trasgressione della donna.
2)In Genesi 4,7 abbiamo un contesto oscuro. Dio dice a Caino: "Se agirai bene potrai andare a testa alta, ma se non agirai bene la trasgressione (il peccato?) è accovacciata alla tua porta, verso di te il suo desiderio (teshuqà)".
3)Nel Cantico (7,11 "Io sono per il mio diletto, e la sua brama è verso di me") troviamo il significato di teshuqà ribaltato, l'impulso è trasformato in positivo. Non è un desiderio finalizzato al possesso, alla sottomissione, allo sfruttamento, ma ad un rapporto paritario.
Nel Libro della Sapienza (libro deuterocanonico in greco) (6,12-13 e 17-20) la Sapienza è agognata come una donna: "La sapienza è radiosa e indefettibile, facilmente è contemplata da chi l'ama e trovata da chiunque la ricerca".
Nel Siracide (o Ecclesiastico, libro che appartiene alla sfera sapienziale), la Sapienza è rappresentata in figura femminile, poi col cristianesimo ha impersonato la Madonna.
Nel Vangelo di Matteo, cap 5 v.27-28 si ribadisce il rapporto con l'Antico Testamento quando Gesù dice: "Avete inteso che  fu detto: non commettere adulterio. Ma io vi dico: Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio nel suo cuore". Gesù, come rabbi, ha presente la versione di Esodo e quella di Deuteronomio e completa l'ultimo comandamento  vietando proprio di desiderare in modo prevaricatore.
Si dice tradizionalmente che nell'Antico Testamento c'è attenzione alla norma legalistica, mentre nel Nuovo c'è più attenzione per il cuore. Invece nelle parole di Gesù, nel guardare con desiderio,  non c'è tanto l'intenzione paritaria, quanto ciò che si attua ingiustamente. Non si condanna solo l'atto in sé, ma il programmare, l'attuare strategie, il premeditare. L'essere immersi in azioni che portano a un risultato negativo.
Allora che cosa significa chamad? Attrazione visiva ma anche desiderio di possesso , come si capisce dalle parole di Gesù: "Chi guarda una donna per desiderarla...". Non è dunque solo astratta intenzione. Questo è confermato in versetti dei profeti Michea e Isaia.
Michea 2,1-2: "Guai a coloro che meditano l'iniquità e tramano il male... sono avidi di campi e li usurpano, di case, e se le prendono".
[Isaia 5,7-8: "La vigna del Signore è la casa d'Israele... egli si aspettava giustizia ed ecco spargimento di sangue, attendeva rettitudine ed ecco grida di oppressi"].

Abbiamo parlato di linguaggio giuridico: Il Deuteronomio cambia il verbo di Esodo nella X° Parola; prima usa  
חמד (per la donna d'altri) , poi sente la necessità di cambiare per tutte le altre cose desiderabili e usa אוה. (auàh).  Un commentario rabbinico dice: "La Torah stabilisce che non devi desiderare l'oro e prenderlo per te stesso". Uno è colpevole se viene attratto? No, solo se intraprende passi verso l'appropriazione. Il desiderio è normale, fa parte dell'uomo che è crato con delle pulsioni. Qui siamo lontani dalla filosofia platonica: qui c'è l'essere umano, a immagine di Dio, che non deve degradarsi, deve imparare a gestire i suoi impulsi.
Rabbi Simon Ben Jokai dice: "Non devi bramare. Bisogna distinguere: un semplice desiderare  è normale, ma chi brama qualcosa  finisce per volersene impossessare.
La brama è nel cuore: Se il tuo spirito brama, esso è connaturato alla tua natura".  Deut. 12,20 mette in guardia perché questa brama diventa poi un'azione reale. Dunque un conto è desiderare, un conto è ardere e voler avere a tutti i costi.
Anche Maimonide riflette su questo nel suo precetto 265. Dice: "Non bisogna elaborare stratagemmi e truffe". Il divieto dell'azione illecita diventa divieto halakhico (3).
In un testo trovato a Qumran si ripristina il primo verbo, quello di Esodo, quasi che questo cambio fosse cosa  scandalosa, e così fa anche la versione dei Settanta. Questo perché il cambiamento in certuni ha creato difficoltà, infatti c'era la convinzione che il testo più antico fosse l'originale, perciò l'unico giusto.
In Proverbi 13,4 si usa lo stesso verbo
אוה  = desiderare, bramare, nel versetto 13,4: "Il pigro brama, ma non ottiene nulla, l'appetito dei diligenti sarà soddisfatto"  e nel versetto 21, 25-26 : "I desideri del pigro lo portano alla morte, perchè le sue mani rifiutano di lavorare, tutta la vita dell'empio indulge alla cupidigia, mentre il giusto dona senza risparmiare": ciò significa che la sete di possesso non approda a nulla, ma rende prigioniero l'uomo e lo distoglie dal consorzio sociale. Il pigro continua  a desiderare, ma non è mai appagato. Questo allontana dalla giustizia. Lo stesso avviene nella nostra società che ci alletta sempre di più con dei beni e, sollecitando i nostri istinti peggiori, ci fa cadere in un circolo vizioso.
In 4 punti del Deuteronomio ricorre un avvertimento verso un desiderio smodato… 19,14: Non spostare i confini stabiliti... 23,25: Quando entri nella vigna del prossimo mangia l'uva, sazia la fame, ma non metterla nel cesto... Spigola, ma non riempire il paniere...  23,26: Chi è povero può seguire i raccoglitori, ma non deve eccedere: 24, 10-11 Quando fai un prestito a qualcuno non prenderti il tuo pegno nella sua casa... 24,17 Non lederai il diritto dell'orfano..., non prenderai la veste della vedova...ecc.
Dunque ci sono dei limiti. 24, 19: Quando, facendo la mietitura del tuo campo, vi avrai dimenticato qualche mannello, non tornerai indietro  aprenderlo, sarà per il forestiero... Ti ricorderai che sei stato schiavo in Egitto.
Sono dati dei limiti perché ci sia abbastanza per tutti, perché tutti abbiano il minimo per vivere. Il rispetto dei confini era già nella cultura del Vicino Oriente, perché da questo rispetto nascono i princìpi della convivenza civile. Tutto si riconduce al concetto: "la terra l'ha creata il Signore, non è vostra..." Anche il Giubileo biblico è incentrato su questo, sul ristabilimento di una condizione, dei confini della proprietà, e perciò il condono dei debiti, la liberazione degli schiavi... Solo prendendo per noi quel che ci serve per vivere, senza eccessi, impediamo che ci siano l'eccessiva  prosperità da un lato e la fame dall'altro. La giustizia non è mai scissa dalla misericordia.
Il testo biblico non è mai stato studiato interamente nella sua complessità, bisogna fare sempre un discorso intertestamentario, trovando il rapporto fra l'insegnamento biblico e le parole di Gesù.  Tutto si compendia in "Ama il prossimo tuo come te stesso, (ma Ida Zatelli  preferisce la traduzione: Ama il prossimo tuo perché è come te). Apparteniamo allo stesso genere umano, creato a somiglianza divina. Questo non è antropoformizzare Dio, ma è divinizzare l'uomo.
        Giovanna Fuschini

NOTE

1)   
Questo strumento è costruito da una semplice canna di bambù che, accuratamente lavorata e intonata, permette al musicista di suonare bellissime melodie con un'estensione cromatica di circa tre ottave. La costruzione di un bansuri è il perfetto esempio di come un capolavoro artistico non sia solo completato aggiungendo ciò che manca, ma eliminando ciò che è in eccesso. Anche il più semplice flauto è costruito sottraendo dalla canna spazio per i fori, i quali riflettono la circonferenza vuota del bambù. Vuoto più vuoto uguale a flauto, il vuoto risonante.
Considerando la semplicità della sua struttura, gli effetti musicali e le complessità emozionali possibili sono rese ancora più interessanti. Descritto come suono eterico, soave, angelico ma anche cupo e triste, esso riflette una sensazione di nostalgia innata nell'anima umana.
2)   Secondo la tradizione ebraica (e molte confessioni religiose cristiane più legate alla lettera del testo biblico), la  Torah sarebbe stata scritta da  lt Mosè in persona. La presenza di alcune incoerenze generò dei sospetti e indusse a ritenere che la redazione del pentateuco (tutta o almeno quella finale) fosse dovuta a lt Esdra, vissuto un millennio dopo Mosè. Il primo a formulare tale ipotesi fu  Baruch Spinoza nel suo Tractatus theologico-politicus, pubblicato anonimo nel 1670. La possibilità che la redazione finale del pentateuco fosse di epoca persiana indusse altri studiosi ad esaminare criticamente il testo per trovarvi traccia di "fonti" antiche utilizzate dal redattore finale. [4] Alcune caratteristiche, ad esempio, colpirono l'attenzione: due racconti della creazione; due decaloghi; diversi nomi per Dio;
diverse concezioni teologiche.
Maturò così l'idea che il Pentateuco fosse stato scritto nel corso del I millennio a.C. integrando fra loro vari scritti di epoche precedenti. Accanto alle fonti Elohista e Jahvista, già suggerite da Henning B. Witter (1683-1715), Abraham Kuenen (1828-1891) identificò una fonte Sacerdotale (il Priestercodex) ed Eduard K.A. Riehm (1830-1888) una fonte indipendente per il Deuteronomio. Quindi, verso la fine del  XIX secolo, lo studioso tedesco  Julius Wellhausen, riordinando le varie ipotesi, postulò la "teoria delle quattro fonti", secondo cui alla base del Pentateuco ci sono queste quattro diverse tradizioni. Le tradizioni sono racconti tramandati nel tempo in forma orale e poi messi per iscritto. Dalle iniziali del loro nome la teoria è anche definita JED. Le fonti JEDP:
La fonte J (o Jahvista) e quella E (o Elohista) si chiamano così in accordo al diverso nome di  Dio (IHWH o Elohim) utilizzato nei primi tre libri del Pentateuco.
La tradizione Jahvista sarebbe originaria del  X/ IX secolo a.C. (il periodo  monarchico). In essa, l'uomo e il suo mondo sono descritti con grande concretezza e con analisi dei conflitti interni del cuore umano. Dio è visto molto vicino al suo popolo e in alcuni casi è quasi antropomorfizzato (quando ad esempio passeggia nel  giardino dell'Eden). È poco interessata ai materiali storico/giuridici, chiama "Sinai" il monte e copre la storia fin dalle origini. In particolare, l'opera dello jahvista è riscontrabile nella parte narrativa più antica del Pentateuco la quale deve la sua struttura all'antico credo d'Israele, con i suoi capitoli sui patriarchi, l'esodo, l'entrata degli Israeliti nella terra promessa. Lo jahvista, dunque, prende i ricordi della tradizione orale d'Israele e disegna un'ampia immagine di almeno due di quei temi. Esso è il primo a mettere per iscritto le antiche tradizioni orali del suo popolo.
La fonte Elohista usa per la maggior parte dei casi Elohim come nome di Dio. Si sarebbe formata in epoca successiva (lt VIII secolo) nel Regno del Nord, dopo la divisione dello stato di lt Israele. Nella sua visione teologica, Dio è visto in modo più trascendente: parla dal cielo, appare nei sogni, parla per mezzo di mediatori: gli angeli.
La tradizione D (o Deuteronomista) è chiamata così in quanto dominante nel libro del  Deuteronomio. È fatta risalire al  VII secolo nel  Regno del Sud. Ha come fine principale intenti didattici riguardanti la Legge e corrisponderebbe al rotolo che venne ritrovato nel Tempio nel 621 avanti Cristo e diede il via alla riforma religiosa del regno di  Giosia, re di Giuda.
La tradizione P (o Codice Sacerdotale - Priestercodex) raccoglierebbe testi anche molto antichi, ma sviluppati in epoca post-esilica. Riguarda essenzialmente norme liturgiche e rituali. È predominante nel  Levitico).

3)  
Halakhah (ebr. הלכה) — traslitt. anche con Halakha, Halakhà, Halacha, o Halocho; plur. halakhotlt [1] — è la tradizione "normativa" religiosa dell'Ebraismo, codificata in un corpo di Scritture e include la legge biblica (le 613 mitzvòt) e successive leggi talmudiche e rabbiniche, come anche tradizioni e usanze. Halakhah guida non solo le pratiche e credenze religiose, ma anche numerosi aspetti della vita quotidiana. Il termine Halakhah viene spesso tradotto come "Legge ebraica", anche se una traduzione più letterale potrebbe essere "la via" o "il modo di condursi". La parola deriva dalla lt radice che significa andare o camminare. Storicamente nell'esilio, poi anche detto diaspora, la Halakhah serviva a molte comunità ebraiche come un sistema esecutivo di diritto civile e lt diritto religioso. A partire dall'Illuminismo, dall'emancipazione ebraica (in era napoleonica e dall‘ in epoca moderna), i cittadini ebrei sono sottoposti alla Halakhah solo per consenso volontario. Tuttavia, secondo la lt legge israeliana contemporanea, alcune aree del diritto di famiglia e status personale sono sotto l'autorità dei tribunali rabbinici e pertanto trattate in base alla Halakhah. Alcune differenze sulla Halakhah stessa si possono riscontrare tra ebrei aschenaziti, mizrahi, sefarditi e yemeniti, che rispecchiano la diversità storica e geografica delle varie comunità ebraiche all'interno della Prima Diaspora.


Ida Zatelli saluta  Livia Molducci (figlia di Maria Angela Baroncelli), Presidente del Consiglio Comunale di Ravenna, con Laura Solla dell’AEC della Romagna, allieva di Ebraico Biblico e con Maria Angela.


 
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