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Il profeta Aggeo
(Rav Luciano Caro)


Aggeo, Haggai in ebraico, è un termine ebraico che può voler dire "le mie feste", ma non sono proprio sicuro che sia questo il significato. Anche perché l'etimologia rimanda sia ad hag, che vuol dire "festa", che ad hug, che è, invece "il circolo", cioè un luogo dove si sta insieme; e molte volte non si sta insieme per far festa, ma magari anche per litigare. E' vero che il termine hug deriva a sua volta da una parola che indica il ballo collettivo.
Di questo profeta, in realtà, non c'è molto da dire. Il suo scritto, dal punto di vista linguistico ed esegetico, non presenta difficoltà particolari e può essere inserito all'interno di una trilogia, composta da Aggeo, Zaccaria e Malachia, tre profeti post-esilici, cosiddetti perché hanno operato dopo l'esilio babilonese del 586 a.E.v., mentre tutti gli altri sono precedenti all'esilio.

Forse può essere utile fare una breve contestualizzazione per aiutarci a vedere un po' più da vicino questa vicenda dell'esilio di Israele a Babilonia.
Babilonia aveva conquistato una gran parte del Medio Oriente e anche il regno di Giuda, cioè lo stato ebraico di allora e, dopo una serie di campagne militari e politiche molto complesse,  aveva deportato gran parte della popolazione ebraica. Questa era la prima in cui il popolo ebraico veniva deportato in forma eclatante e plateale in un altro paese. Così iniziarono per Israele tutti i problemi legati alla deportazione e al contatto con un'altra terra, un'altra cultura, un'altra lingua. Come conservare la propria identità religiosa in questa estraneità?
A un certo punto, con l'avvento al trono del regno di Persia di Ciro, il potere viene strappato di mano ai babilonesi e conquistato dai Persiani. Il re Ciro adotta anche lui una politica imperialista, ma con connotazioni molto diverse da quelle del regno babilonese. Il sistema di dominio degli Assiri prima e dei babilonesi poi, era quella si staccare le popolazioni dominate dalla loro terra, pensando che in quel modo si sarebbero assimilate alle culture dominanti e, sentendosi estranee, non avrebbero sentito certamente il bisogno di ribellarsi, per ottenere l'indipendenza di un paese non loro.
Ciro pensava diversamente e preferiva lasciare ogni popolazione nel proprio territorio, fornendo loro ogni facilitazione, ogni protezione, anche dal punto di vista militare; bastava pagare le tasse e la tranquillità era assicurata. Per questo Ciro emana subito un editto, consentendo agli Ebrei di ritornare alla loro terra, dando loro somme di denaro, anche per la ricostruzione. In questo modo avrebbero potuto riconquistare la loro identità e libertà religiosa e culturale. Ma cosa successe? Gli Israeliti, dopo 70 anni di esilio in Babilonia, si erano assuefatti, assimilati e affrancati dalla schiavitù e molti di loro non avevano neanche conosciuto la terra di origine, per cui non sentivano il bisogno di farvi ritorno. Solo il 10% dei deportati accettò l'invito di Ciro di tornare in Giuda.
Si crea così una situazione analoga a quella attuale: un gruppo di Ebrei che vive in diaspora e un gruppo che vive nella terra d'origine. E ognuno di questi due gruppi ritiene di essere migliore dell'altro; gli uni perché si sentono più vicini e fedeli alla tradizione dei padri, gli altri perché si sentono più emancipati, più inseriti nel grande mondo culturale babilonese.
Questa dicotomia tra gli Ebrei di Israele e quelli della diaspora esiste ancora oggi. Ma questo è caratteristico di tutti i gruppi umani e in particolare degli Ebrei che amano sottolineare la propria individualità.
La situazione che hanno trovato gli Ebrei tornati nella terra dei padri non era certo rosea. Innanzi tutto hanno trovato la terra occupata da altre popolazioni, portate lì dai babilonesi e lì residenti da lungo tempo. L'errore commesso dai dirigenti del tempo è stato quello di non cercare immediatamente una forma di collaborazione con le popolazioni straniere insediate in Israele. Piuttosto emergeva lo scontro, la non accettazione di genti considerate straniere, pagane, lontane da Dio in confronto a loro, popolo eletto.
Tenete conto della situazione attuale, perché è più o meno la stessa. Non si è riusciti a creare una forma di dialogo e collaborazione per cui si potesse convivere pacificamente sulla stessa terra, mantenendo ognuno la propria identità, le proprie caratteristiche. E così è nato questo grande conflitto, in corso ancora oggi.

Non dimentichiamo che sempre, senza rendersi conto, dietro le quinte, ci sono le grandi potenze, che fanno i loro interessi sulle spalle dei poveracci. Io sostengo questo. Oggi le grandi potenze in questione sono gli Stai Uniti, le Nazioni Unite, il Vaticano, la Russia, gli stati arabi e se questi signori si facessero da parte, credo che la situazione si risolverebbe, perché la gente vuol vivere tranquilla.
Invece c'è chi rimesta nel torbido, perché vuol conseguire i proprio interessi. Ma questa è una considerazione assolutamente personale, alla quale, però, credo molto.
Torniamo al punto storico del ritorno in Israele. I problemi, allora, furono molti. Intanto dobbiamo tenere presente che a tornare non furono i ricchi, i benestanti, ma la parte più povera della popolazione.
Per es., allora, il problema della ricostruzione di Gerusalemme: bisognava dare la precedenza alla ricostruzione del santuario di Gerusalemme, quale centro religioso e culturale dell'ebraicità, oppure alla ricostruzione delle mura della città?
Per noi, oggi, a tavolino, è facile, ma allora c'erano difficoltà. Questa è la situazione in cui viene a trovarsi il nostro profeta Aggeo, che, attraverso i due capitoletti della sua profezia, cerca di sollecitare il popolo ad impegnarsi maggiormente nella ricostruzione del santuario, costruito dal re Salomone 500 anni prima e che era stato distrutto nell'invasione babilonese.
Riguardo ad Aggeo, come persona, non abbiamo connotazioni sulla sua storia, la sua famiglia, la sua nascita o la sua morte; né il testo biblico, né altre fonti ci forniscono indicazioni al riguardo. Vi leggo l'incipit del suo libro, che dice così:
"L'anno secondo del re Dario, il primo giorno del sesto mese, questa parola del Signore fu rivolta per mezzo del profeta Aggeo a Zorobabele, figlio di Sealtièl, governatore della Giudea, e a Giosuè, figlio di Iosadàk, sommo sacerdote" (Ag 1, 1).
Dario era il successore di Ciro, quindi siamo circa nel 520 a.E.v. Tenete conto che gli Ebrei erano stati deportati nel 586 e tornano circa 70 anni dopo.
La profezia di Aggeo viene rivolta all'autorità politica e religiosa. E dice così:
"Così parla il Signore degli eserciti: Questo popolo dice: "Non è ancora venuto il tempo di ricostruire la casa del Signore!"". Allora fu rivolta per mezzo del profeta Aggeo questa parola del Signore: "Vi sembra questo il tempo di abitare tranquilli nelle vostre case ben coperte, mentre questa casa è ancora in rovina?" (Ag 1, 2-4).
Un particolare stilistico del libro è che l'autore parla spesso in forma di interrogazione.
E va ancora avanti:
"Ora, così dice il Signore degli eserciti: Riflettete bene sul vostro comportamento! Avete seminato molto, ma avete raccolto poco; avete mangiato, ma non da togliervi la fame; avete bevuto, ma non fino a inebriarvi; vi siete vestiti, ma non vi siete riscaldati; l'operaio ha avuto il salario, ma per metterlo in un sacchetto forato. Così dice il Signore degli eserciti: Riflettete bene sul vostro comportamento!" (Ag 1, 5-7).
Secondo l'interpretazione dei nostri maestri, che però non ha nessun supporto, il profeta Haggai sarebbe stato uno dei membri della cosiddetta knesset haggedolàh, la "Grande assemblea". E di cosa si tratta? Allora: noi siamo in un periodo storico, nel quale avviene, in seno al popolo ebraico, sia quello tornato alla terra, sia quello rimasto in Babilonia, una specie di rivoluzione. Forse l'ebraismo come è oggi deriva da quello che è successo in quel tempo. Io non so se allora avessero una idea precisa della loro identità. L'idea fissa era che gli Ebrei erano i monoteisti, mentre tutti gli altri i pagani. Fra l'altro si trattava di un monoteismo abbastanza annacquato. Ma al di fuori di questo non c'erano tante cose che distinguevano gli Ebrei dagli altri. Pensate, ai tempi di Geremia, succede che durante i lavori di restauro del santuario, viene trovata una copia del testo della Torah e questo costituisce per la gente una grande sorpresa. Ma come? C'era un santuario costruito 400 anni, dedicato al Dio unico, in relazione al testo biblico, al Pentateuco e non avevano il testo, ma lo scoprono centinaia di anni dopo? E come mettevano in pratica la loro religiosità?
Da altri passi si ricava che per centinaia di anni gli Ebrei avevano perso la connotazione della Pasqua; dall'uscita dall'Egitto non la celebravano più, quindi avevano perso il ricordo di ciò che loro, in realtà, erano, per la loro storia.
D'altra parte sappiamo bene che i profeti a più riprese si scagliano contro forme di idolatria latenti nel popolo. C'era il santuario di Gerusalemme, dove si faceva finta di adorare l'unico vero Dio, ma contestualmente c'era una serie di altri piccoli santuari locali, dove venivano adorate divinità locali.
Quindi è chiaro che il monoteismo di Israele era annacquato.
A meno che, e questa è l'idea di qualcuno degli interpreti, il ritrovamento del libro antico, quello originale di Mosè, non fosse tutta una messa in scena a uno scopo politico. Il re del tempo fa finta di adottarlo come Costituzione dello Stato e vuole subito mettere in pratica quella legislazione. Ma cosa fa? Guarda caso comincia proprio dalla legislazione riguardante la schiavitù; su 613 precetti contenuti nella Torah, lui sceglie proprio quelli riguardanti la schiavitù! C'è scritto che quelli che lavorano per un altro non possono lavorare più di 6 anni, per cui ordina ai nobili di rilasciare i propri schiavi; ovviamente questo non perché gli importasse degli schiavi, ma per diminuire il potere dei nobili e appropriarsi delle persone per mandarli al servizio militare.
E tutto questo nascondendosi dietro alla Torah.
Torniamo al problema dell'identità ebraica. Il fatto è che gli Ebrei, tornati in patria, cominciano a domandarsi chi sono, cosa sono e quali sono le differenze tra loro, Ebrei, e le altre popolazioni. Al ritorno in Giuda, sotto la guida di Esdra, viene fondata la Grande Assemblea, una specie di parlamento, al quale viene dato il compito di stilare una specie di Costituzione per definire che cosa sono gli Ebrei.
Il prima problema che ci si è posto è quali fossero i veri testi sacri, fra tutti quelli che circolano; cioè quali sono i testi di origine divina, che devono determinare la nostra esistenza. Il primo compito della Grande Assemblea è stato quello di determinare il canone biblico. E i libri lasciati fuori da questo elenco sono andati quasi completamente perduti.
Altro problema era quello di capire chi sono gli Ebrei. Come si fa a determinare chi è Ebreo e chi non lo è? Il fatto è che fra quelli che ritornarono da Babilonia c'erano di quelli che si erano sposati con mogli pagane, dalle quali avevano avuto figli, anche loro pagani, cresciuti alle scuole di Babilonia. Esdra prende una decisione drastica: bisogna fare pulizia. Tutti i pagani o paganeggianti devono tornare in Babilonia. Quindi tutti gli Ebrei, che avevano portato la moglie da Babilonia, dovevano rimandarla indietro. Probabilmente devono avergli riso in faccia.
Con l'andar del tempo, ovviamente, questi ex pagani, si sono assimilati agli Ebrei.
Quindi, per tornare ad Aggeo, credo che a lui non interessasse tanto la ricostruzione fisica del tempio, quanto piuttosto la ricostruzione morale, che doveva precedere la costruzione delle mura. Prima era indispensabile identificare chi loro fossero e cosa volessero.
E' stato un notevole fallimento. Salvo il fatto che questo Esdra era affiancato, nel suo lavoro, da Neemia, un alto funzionario del re persiano e animato da simpatia verso gli Ebrei, chiede a Dario, proprio re, di andare anche lui in Israele per rimettere le cose a posto sul piano politico.
Affronta i problemi militari, di difesa e riesce bene. Alla fine della sua missione, torna in Persia, ma dopo aver dato una buona mano a Israele.
Tra le popolazioni che gli Ebrei avevano trovato al ritorno nella loro terra c'erano i Samaritani, Ebrei anche loro, ma che avevano adottato delle usanze pagane. Dai testi biblici pare che i Samaritani in un primo tempo avessero chiesto agli Ebrei di partecipare alla ricostruzione del nuovo Stato, ma sembra che siano stati respinti. E quindi hanno cominciato a mandare delegazioni in Persia, mettendo in cattiva luce gli Ebrei ritornati in patria e presentandoli come dei ribelli davanti al re di Persia.
Il nemico vero è costituito dai grandi imperi: l'Egitto da una parte, la Persia dall'altra e all'orizzonte si stava delineando anche la figura dell'impero Romano.
Torno al testo.
Al cap. 2 troviamo queste parole:

"Il ventuno del settimo mese, per mezzo del profeta Aggeo fu rivolta questa parola del Signore: "Su, parla a Zorobabele, figlio di Sealtièl, governatore della Giudea, a Giosuè, figlio di Iosadàk, sommo sacerdote, e a tutto il resto del popolo, e chiedi: Chi rimane ancora tra voi che abbia visto questa casa nel suo primitivo splendore?" (Ag 2, 1-3).
Si racconta che chi vedeva costruire il santuario, si metteva a piangere, perché era molto più brutto di quello originale.
"Ora, coraggio, Zorobabele - oracolo del Signore -, coraggio, Giosuè, figlio di Iosadàk, sommo sacerdote; coraggio, popolo tutto del paese - oracolo del Signore - e al lavoro, perché io sono con voi - oracolo del Signore degli eserciti -, secondo la parola dell'alleanza che ho stipulato con voi quando siete usciti dall'Egitto; il mio spirito sarà con voi, non temete". (Ag 2, 4-5).
E vado avanti, verso la fine:
"Il ventiquattro del nono mese, nel secondo anno di Dario, questa parola del Signore fu rivolta al profeta Aggeo: "Dice il Signore degli eserciti: Domanda ai sacerdoti quello che dice la legge e chiedi loro: Se uno in un lembo del suo vestito porta carne consacrata e con il lembo tocca il pane, il companatico, il vino, l'olio o qualunque altro cibo, questo verrà consacrato?" (Ag 2, 11-12).
Vedete come ritornano le date, con precisione? La profezia di Aggeo si svolge nel giro di soli 4 mesi.
Qui Dio fa una domanda di tipo rituale, sulla purità e impurità rituale, che, ripeto ancora una volta, non vuol dire sporca o pulita.
La risposta: ""No", risposero i sacerdoti. Aggeo soggiunse: "Se uno che è contaminato per il contatto di un cadavere tocca una di quelle cose, sarà essa impura?". "Sì, è impura", risposero i sacerdoti" (Ag 2, 13).
Il discorso è questo. La purità non si trasmette per contatto, l'impurità sì. Il fatto che una persona sia molto buona, se io vengo in contatto con lei, non divento più buono anch'io; ma se questa persona è di dubbia moralità, se io la frequento, per forza divento anch'io così.
Allora Aggeo, che parla al popolo di Israele, vuol fare aprire loro gli occhi sulla situazione che stanno vivendo. Dio dice che tutto quello che il popolo offre è impuro, perché le opere delle loro mani sono impure; fanno delle offerte che formalmente possono essere considerate buone, ma diventano impure, perché è il pensiero del cuore che non è puro.
Nell'ultimissima parte del libro leggiamo così: "Il ventiquattro del mese questa parola del Signore fu rivolta una seconda volta ad Aggeo: "Parla a Zorobabele, governatore della Giudea, e digli: Scuoterò il cielo e la terra, abbatterò il trono dei regni e distruggerò la potenza dei regni delle nazioni, rovescerò i carri e i loro cavalieri: cadranno cavalli e cavalieri; ognuno verrà trafitto dalla spada del proprio fratello. In quel giorno - oracolo del Signore degli eserciti - io ti prenderò, Zorobabele, figlio di Sealtièl, mio servo - oracolo del Signore - e ti porrò come un sigillo, perché io ti ho eletto". Oracolo del Signore degli eserciti" (Ag 2, 20-23).
Non è chiaro il significato di questa profezia, ma sembra che volesse adombrare a Zorobabele, che era il governatore degli Ebrei, che il dominio persiano è destinato a cadere, come tutti i grandi imperi e quindi gli adombra la necessità di non puntare tutto sui Persiani, che crolleranno, ma piuttosto cercare di alimentare una forma di autonomia da tutti i punti di vista, sia culturale, che politica, che economica. Ovviamente questo è congetturale.
A questo punto rimane l'invito di riprendere in mano il libro di Aggeo e di rileggerlo.
Abbiamo visto che si tratta di uno dei libri più corti della Bibbia, però che porta in sé un messaggio molto importante per la nostra attualità, perché ancora oggi noi viviamo sotto la cupola di un grande impero, non tanto dal punto di vista politico, quanto piuttosto economico. Ci sono delle grandi potenze sulla scena della nostra storia attuale, che fanno il bello e il cattivo tempo e noi non dobbiamo lasciarci fagocitare e influenzare da queste cose, ma dobbiamo mantenere la nostra autonomia, soprattutto garantendo la sopravvivenza di valori morali.


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