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Le benedizioni
(Rav Luciano Meir Caro)


Le benedizioni fanno parte della vita quotidiana di ogni ebreo; il buon ebreo, secondo la tradizione deve pronunciare almeno 100 benedizioni a Dio ogni giorno (questo è il minimo). Sembra un'esagerazione, ma, come vedremo, non è, in realtà, difficile arrivarci.
Che cos'é una benedizione? Il termine berakà , cioè "benedizione" e la radice verbale brk, "benedire" sono molto ricorrenti nel testo biblico.
Ci lascia molto perplessi, perché quando noi diciamo "benedire", soprattutto nei riguardi di Dio, non riusciamo bene a capire cosa stiamo dicendo. Qui, secondo me, siamo in un settore nel quale, qualche volta, noi attribuiamo una certa traduzione ad un termine ebraico che può in qualche modo snaturare il significato di questo termine. Benedire Dio, a mio avviso, è un contro senso. Dio ha bisogno che io lo benedica? Che soddisfazione ricava Dio dal fatto che io dico: "Tu, Dio, sei benedetto"? E se io poi non lo dico, Dio forse non è più benedetto? Tutto questo lascia qualche perplessità.
Forse sarebbe meglio partire dal problema etimologico: cosa vuol dire la parola berakà? Questa parola nel testo biblico compare più volte, qualche volta insieme al termine antagonista kelalà, che significa maledizione.
Ci sono dei passi biblici nei quali Dio, parlando al popolo, dice: "Io pongo di fronte a voi benedizione e maledizione. E voi dovete scegliere la benedizione. Se vi comporterete in un certo modo avrete benedizione, se vi comporterete in un altro modo avrete maledizione, ma cercate dì scegliere sempre la strada della benedizione". Sembrerebbe, così a prima vista, che il termine benedizione voglia dire una cosa positiva, di corrispondenza alla volontà di Dio e quello di maledizione esattamente il contrario. Ricorderete che la prima volta in cui Dio si manifesta ad Abramo gli dice: "Vattene dalla tua terra, dalla tua patria; vai verso una terra che ti farò vedere. Ti farò una grande nazione, ti benedirò; farò grande il tuo nome e tu sarai berakà, benedizione. Benedirò quelli che ti benedicono e maledirò quelli che ti maledicono. Saranno benedette in te tutte le famiglie della terra" (Gen 12, 1-3).


Ho sempre tradotto "benedire" e "benedizione", ma non so ancora cosa vogliono dire. Qui è Dio che benedice Abramo e Abramo diventa lui stesso una benedizione: attraverso Abramo sono benedetti tutti i popoli della terra Cosa vuol dire? Sono delle frasi che suonano bene, però se ci domandiamo cosa c'è dentro, che cosa cambia, che cosa vuoi dire che tutte le nazioni della terra sono benedette in Abramo, io non ve lo so dire.
Possiamo tornare ancora indietro, all'inizio del libro della Genesi, là dove si parla della creazione del mondo; si dice che Dio terminò il settimo giorno l'opera che aveva fatto di creazione del mondo. e cessò nel settimo giorno tutta l'opera che aveva compiuta. "E benedì Dio il settimo giorno e lo consacrò poiché in quello aveva cessato da tutta la sua opera che aveva creato per fare" (Gen 2, 3).
Bellissima frase, che a me per lo meno, è molto oscura. Cosa vuol dire che Dio benedice il settimo giorno, che lo consacra? E lo consacra per quale motivo, perché in questo giorno lui ha cessato di operare? Molta logica non ce la vedo in tutto questo. Le mie parole vogliono essere una sollecitazione a riappropriarsi del testo, a cercare di capire senza passare oltre pensando "l'ho capito". Quella frase enfatica: "Dio benedice il settimo giorno", cosa vuol dire? Che Dio parlato bene di quel giorno? E poi che lo ha consacrato, che cosa vuol dire? Io ho messo assieme il termine "benedire" e il termine "consacrare" proprio adoperando due espressioni bibliche dalle quali non riusciamo a veni fuori.
Qualcuno dice che la parola, la stessa radice qualche volta ha il significato di "benedire", qualche volta di "fare dei regali". Qualche volta assume un significato molto specifico con riferimento alla pioggia; si parla della pioggia e si dice che la pioggia è benedizione. Il senso sembrerebbe quello di una pioggia buona, feconda, positiva, per distinguerla dalle alluvioni. Qualcuno fa derivare l'espressione benedizione dalla parola berek, che significa "ginocchio"; la persona che viene benedetta si inginocchia di fronte al benedicente, il quale pone e sue mani sul capo del benedetto, e lo benedice, cioè dice delle espressioni augurali nei suoi confronti. La benedizione, dunque, sarebbe quella cosa che si riceve in ginocchio; quindi c'è un nesso tra il ginocchio e la benedizione.
Non dimenticate un'altra cosa ancora, per rendere più complicate le cose. Io vi pongo dei problemi, non delle risposte. Qualche volta il termine benedizione è adoperato nel testo biblico nel senso esattamente contrario. Sono cose che succedono qualche volta. Quando non si vuole adoperare un termine perché sembra troppo forte si adopera esattamente il suo contrario con un linguaggio codificato o per non usare la parola brutta o per indicare un concetto che può essere visto da duo angolazioni diverse. Per darvi degli esempi: noi chiamiamo molto spesso il cimitero "la casa dei vivi" e qualcuno afferma che qui il senso è molto trasparente, perché il cimitero è  la casa di quelli che sono vivi veramente, perché la vera vita è quella che si acquisisce nel futuro. Qualcun altro, però, dice che questa espressione vuole semplicemente ovviare all'imbarazzo di parlare di una realtà negativa, quale può essere la morte, anche se, in verità, la vita e la morte sono due aspetti di una medesima realtà.
Lo stesso scambio avviene nel testo biblico tra l'espressione puro e impuro. Qualche volta, dove ci aspettiamo la parola "puro", troviamo la parola "impuro" e viceversa. Qualche volta troviamo il cieco come "colui che vede molto"; forse dispiace usare la parola cieco, o sembra una parola offensiva o malaugurale e quindi adoperiamo il suo esatto contrario; e chi capisce, capisce. C'è poi chi adopera strutture mentali diverse e dice che il cieco è colui che vede meglio, perché effettivamente il cieco ha sviluppato gli a1tri sensi più delle cosiddette persone vedenti. Per cui è vero, il cieco vede di più, capisce di più. Vi potrei dare altri esempi biblici importanti per dimostrare che c'è, talvolta, questa tendenza ad adoperare un termine per indicare sia quello che noi diciamo abitualmente, sia il suo esatto contrario. Se avete la cortesia di leggere i primi capitoli del libro di Giobbe, potrete rendervi conto. La moglie di Giobbe, rendendosi conto che il marito è sottoposto a una quantità di sofferenze e di punizioni, gli dice che tutte le sue disgrazie sono un sintomo che Dio ce l'ha con lui. E gli suggerisce: "Bestemmia Dio, maledicilo", cioè lo spinge a farne una grossa, così Dio lo punisce definitivamente e Giobbe smette di soffrire. -Beh, un buon consiglio! Da donna veramente pratica!- Però il testo, invece di dire: "Maledici Dio!", adopera l'espressione contraria: "Benedici Dio!". Perché non era possibile mettere in un testo biblico il termine maledizione vicino al termine Dio. Ecco, questo è per darvi già la grossa difficoltà di tradurre un'espressione che vuol dire qualche cosa che presumibilmente sfugge alle nostre capacità. Quindi, quando troviamo "benedire qualcosa" noi abbiamo delle perplessità su cosa significhi realmente il termine benedire.
Le nostre perplessità poi aumentano quando parliamo di "benedire Dio". Questa espressione, presa così in senso letterale, a me dà un certo fastidio. Soprattutto parlando dall'ottica ebraica, nella quale è richiesto che l'uomo benedica Dio più volte al giorno. Cosa su ne fa Dio delle mie benedizioni? Gli servono a qualcosa? Non riusciamo a capire qual è il meccanismo che deve scattare.
Andiamo un pochino più avanti. I nostri maestri hanno cercato un'interpretazione e dicono che chiunque goda di qualche cosa in questo mondo, senza benedire Dio di questa cosa, è come se avesse defraudato Dio della cosa di cui sta godendo. Cosa significa questo? Sembra che voglia dire che la benedizione non è una benedizione Dio (io lo benedico), bensì un riconoscimento che le cose delle quali io mi posso servire mi provengono da Dio. Quindi non benedizione nel senso di pronunciare una lode nei suoi confronti, ma un riconoscimento che tutto proviene da Lui. E' già un'ottica leggermente diversa. Questo ha fatto sì che la tradizione giuridica ebraica ha elaborato tutto un meccanismo, tutto un sistema, secondo il quale tutte le volte che noi godiamo di qualcosa in questo mondo, sotto qualsiasi forma, come, ad es., il mangiare o il bere qualcosa, o usufruire di qualche bene terreno, vedere un bello spettacolo, sentire un buon odore, apprendere una buona notizia, noi diciamo una formula di benedizione nei confronti di Dio, quasi a sottolineare che questa cosa mi proviene da Lui. Non è che io lo benedico, perché Dio non ha bisogno delle mie benedizioni, ma sono io che ho bisogno di dimostrare a me stesso che tutto quello che mi capita, di bene e di male, mi proviene da Dio.
Ci sono perfino delle benedizioni che noi dobbiamo pronunciare allorché ci capita qualcosa di negativo. Sembrerebbe quasi una forma di bestemmia: Dio mi manda una disgrazia e o lo benedico.
Il senso è tutto diverso: Dio me l'ha mandata e aveva le sue ragioni; io non le capisco, però debbo accettarle. Come vediamo in quella risposta che ha dato Giobbe alla moglie; a quel famoso consiglio: "Bestemmia, così muori" lui risponde: "Stai parlando come una delle donne stolte! Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremmo accettare il male?" (Gb 2, 10). C'è questo rapporto dell'uomo con Dio: Dio ci manda quello che noi consideriamo bene e noi lo accettiamo; ci manda il male e noi dovremmo accettare anche quello con lo stesso spirito, perché tutto proviene da Lui. Secondo il nostro modo di pensare tutto quello che ci proviene da Dio, anche quello che ci sembra negativo, ha una sua logica che sfugge alla nostra comprensione, ma c'è. Ecco, questo è il concetto della benedizione nel mondo ebraico.
Debbo dire che la formula delle benedizioni, che vi cito subito è stata istituita poi in modo giuridico-istituzionale ai tempi di Esdra, cioè ai tempi del ritorno del popolo ebraico dall'esilio babilonese. In quel periodo - siamo circa cinquecento anni prima dell'era volgare - è avvenuta veramente una rivoluzione, o un'evoluzione, nel mondo ebraico. Direi che l'ebraismo come si presenta ancora oggi è il frutto delle disposizioni che sono state prese da Esdra al ritorno del popolo ebraico dall'esilio babilonese, quando c'erano già alle spalle circa mille anni di storia, che però prendono una loro connotazione solo con l'esperienza dell'esilio babilonese. Ecco, in quel preciso momento, dopo l'esilio, cominciano a porsi le grandi problematiche del popolo ebraico: che cosa siamo noi, qual è il nostro tipo di rapporto con le altre genti, che cosa caratterizza il nostro modo di comportarci e di agire rispetto agli altri? Tutte cose che sono state in qualche modo codificate ai tempi di Esdra. Fra le altre cose viene istituzionalizzato il testo biblico, cioè si stabilisce quali sono i testi sacri e quali no, qual è l'alfabeto ebraico che si deve adoperare (ce n'erano diversi di alfabeti), qual è quello più genuino, quello più vicino alla nostra tradizione.
Tra le altre cose vengono stabilite anche le nostre formule liturgiche. Nel periodo di Esdra viene codificato tutto quell'insieme di espressioni liturgiche che vanno sotto il nome di "benedizioni" e che costituiscono l'80-90% della liturgia ebraica. La liturgia ebraica fondamentale, infatti, è costituita da benedizioni. L'Ebreo deve ottemperare alla necessità, al dovere di pregare Dio, deve pronunciare tre volte al giorno una formula, che è costituita da 19 benedizioni. Quindi vedete che siamo già a una certa cifra - 19 x 3, fate i conti voi - poi, se aggiungiamo altre benedizioncelle varie sparse qua e là, non è difficile arrivare al centinaio.
Ma vorrei chiarire questo: per "benedizione" noi intendiamo un'espressione che cominci con le parole: "Benedetto tu, o Dio…", seguite dalla formula successiva. Quando c'è un'espressione che comincia con le parole: "Benedetto tu, o Signore", questa è una benedizione in senso tecnico. Se non c'è questa espressione si tratta di un'espressione qualsiasi.


Già ai tempi di Esdra sono state codificate, redatte, tutte le benedizioni che noi dobbiamo pronunciare ed esiste un divieto per il popolo ebraico, per la collettività e per il singolo, di inventare nuove benedizioni odi procedere a dei cambiamenti di quelle che ci sono. Noi, quando diciamo delle benedizioni oggi, ci riferiamo a quelle istituite, redatte ai tempi di Esdra.
Le benedizioni si possono classificare in tanti modi, che vi ho già accennato prima. Per darvi un'idea molto rapida, le 19 benedizioni che dobbiamo ripetere tre volte al giorno, sono così congegnate: le prime tre trattano di argomenti molto generici, cioè noi benediciamo - fra virgolette - Dio, per le cose meravigliose che ha fatto nei confronti dell'uomo, di avere creato i patriarchi che ci hanno insegnato qualche cosa, di aver fatto e continuamente fare le cose meravigliose che solo Lui è capace dì fare - che so io, ridare a vita ai morti, dare la possibilità agli esseri umani di alimentarsi coi prodotti della natura, fare soffiare il vento, fare scendere la pioggia, insomma tutte le grandi cose che consentono la nostra esistenza. Dopo le prime tre benedizioni, ci sono quelle centrali, nelle quali, viceversa, si richiede a Dio (quindi forse si tratta non tanto di una benedizione ma di una richiesta) di fornirci le cose che sono di necessità per l'uomo nel senso privato e nel senso collettivo. Per esempio si chiede a Dio di guarirci dai malanni: "Dio, siamo malati, guariscici!"; si chiede a Dio di ripristinare la nostra indipendenza, di darci un'annata agricola di prosperità, e così via; insomma, le necessità più materiali. Infine, con le ultime tre benedizioni, ritorniamo a cose di un gradino superiori e chiediamo a Dio di farci tornare alla nostra terra e finalmente di darci la pace; la pace su di noi e sull'umanità intera.
Queste sono le 19 benedizioni, che noi chiamiamo di carattere liturgico; poi ci sono tutte quelle benedizioni che vengono pronunciate in privato. Cerco di farvi degli esempi. Per esempio le benedizioni pronunciate da tutte quelle persone che sono scampate da un pericolo, un incidente stradale o una grave malattia. Anche qui a seconda della propria sensibilità: c'è chi si fa trapiantare cuore, fegato e cervello e pensa che sia stata una cosetta da niente, dice: "Io non ho avuto la sensazione del pericolo, non sono mai stato così bene"; mentre un tale a cui hanno estratto un'unghia, ha visto il pericolo e quindi sente il bisogno di benedire Dio. Capiamo, quindi, che la benedizione deve avere sempre una componente personale, bisogna credere a quello che si dice, perché se non si ha questa sensazione, diventa quasi un atto di irriverenza.
Anche uscire dalla prigione è sempre considerato uno scampato pericolo, che può essere assimilato a una forma di recupero della propria esistenza, oppure l'intraprendere un viaggio; quindi diventano occasioni per pronunciare una benedizione.
Una benedizione particolare e molto caratteristica, che noi dobbiamo pronunciare, è quella della luna. Qui ci sono delle connotazioni sicuramente mistiche. Sappiamo che la luna ha le sue fasi, che la pongono sotto i nostri occhi con aspetti diversi. Per un popolo di personaggi come erano i nostri antichi, molto legati ai ritmi della natura, era qualcosa che influenzava la vita quotidiana, tant'è vero che la luna serviva anche da calendario; senza dire, poi, delle maree, della vita agricola, ecc. Insomma, la luna aveva un suo significato tutto particolare. Ancora oggi, noi, tutti i mesi abbiamo il dovere di ringraziare Dio per la luna, quando essa ricompare in cielo dopo il periodo in cui si era nascosta dalla nostra vista. Dobbiamo ringraziarlo, considerando questa cosa come una specie di miracolo permanente. Non consideriamo le fasi della luna come una cosa naturale, di tutti i giorni; no, è un miracolo che  anche questo mese è capitata questa cosa, quindi dobbiamo prenderne atto. La luna con le sue fasi, poi, ha sempre avuto delle connotazioni mistiche, ma qui tralascio perché non vorrei andare in un terreno un po' pericoloso.
Nel mondo antico la luna ha sempre avuto delle accezioni collegate alle realtà della fortuna o della sfortuna; cioè  essa non era vista soltanto come portatrice di modificazioni nella natura, ma anche portatrice di valenze che a noi sfuggono. Per darvi un'idea, quando noi vediamo la luna, dobbiamo pronunciare la benedizione ringraziando Dio perché ha creato la luna e tutte le sue fasi e il firmamento;

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facciamo dei piccoli salti, delle piccole modificazioni del nostro corpo verso la luna e pronunciamo una frase che per me è incomprensibile e suona all'incirca così: "Così come noi possiamo saltellare verso la luna ma non la raggiungiamo, così possa avvenire delle disgrazie che possono capitarci".  Cioè le eventuali disgrazie nel mondo che sono dirette verso di noi stiano lassù. Ora sembra più difficile, perché alla luna ci siamo arrivati. La stessa cosa che riguarda la luna, con connotati diversi, riguarda anche il sole. Il nostro calendario è congegnato sui rapporti, sul movimento reciproco, che ci sono tra terra, luna e sole. Orbene, nella nostra visione, ma credo anche dal punto di vista strettamente astronomico. Il sole ha un ciclo di movimento nel cielo che dura qualcosa come 29 anni; ogni 29 anni, quando il sole si ripresenta nella stessa posizione, noi diciamo una benedizione a Dio per avere creato il sole. Io ho avuto l'avventura di pronunciare, fino adesso, due di queste benedizioni nel corso della mia vita e spero che Dio me ne dia ancora una cinquantina, poi vediamo!
Ecco, vedete, c'è questo mondo delle benedizioni che è così variegato! Ma credo che si possa tranquillamente affermare che si tratta di tutto meno che di benedizioni vere e proprie; piuttosto sono delle forme di ringraziamento e di riconoscimento soprattutto della sovranità di Dio, dal quale ci proviene ogni cosa.
Ho dimenticato una cosa importante: nella liturgia del mattino, la preghiera cosiddetta delle 19 benedizioni, è preceduta da una serie di benedizioni che noi dobbiamo pronunciare appena alzati. Qualcuno le dice proprio appena sceso dal letto, mentre altri le dicono insieme alle 19 benedizioni, nella liturgia quotidiana. Queste benedizioni sono un po' strane e possono essere viste da due ottiche: dall'ottica strettamente materiale e da un'ottica un po' più elevata. Alzandoci dal letto, al mattino, noi facciamo delle cose abbastanza ripetitive, ritmiche, quasi rituali. In realtà, però, visto che il sonno può essere in qualche modo assimilato a una forma di morte, nel senso che noi ci addormentiamo, ma non siamo sicuri di risvegliarci il mattino, il riaprire gli occhi è una specie di miracolo. Per questo noi ringraziamo Dio di averci restituito la nostra vitalità cosciente. Oppure, siccome il risveglio è accompagnato dall'apertura degli occhi, noi ringraziamo Dio che apre gli occhi ai ciechi; questo sia in riferimento al fatto che quando dormivo, non vedevo, perché avevo gli occhi chiusi, sia perché egli dona l'intelligenza, cioè una forma di vista ben più raffinata.
Tutti i gesti che noi compiamo al nostro risveglio sono, dunque, accompagnati dalla recita di una benedizione. Allo stesso modo anche l'addormentarci dovrebbe avvenire all'interno di una benedizione, che molti, però, si dimenticano di pronunciare; direbbe così: "Ti ringrazio, Signore, che fai cadere la sonnolenza sulle mie palpebre". Il sonno è considerato come una specie di regalo che Dio ci fa.
Una benedizione piuttosto particolare è quella che noi dobbiamo pronunciare quando, appena alzati, soddisfacciamo i nostri bisogni corporali; lì siamo chiamati a ringraziare Dio per aver creato il corpo umano con cataletti, vasetti, ecc. che sono di una complicazione spaventosa. Con questa benedizione noi riconosciamo che se si chiudesse anche il più piccolo di questi cataletti, noi non potremmo sopravvivere; riconosciamo il miracolo permanente che è il poter fare i nostri bisogni, che sono, in sé, un atto profano, ma che costituiscono un miracolo permanente e di questo noi dobbiamo e vogliamo essere riconoscenti a Dio.



A questo punto ci rendiamo ben conto che arrivare a dire un centinaio di benedizioni ogni giorno non è affatto difficile, se davvero si tiene conto di tutte le situazioni in cui noi siamo chiamati a benedire.
Aggiungo un'altra benedizione, che si pronuncia quando ci capita di incontrare una persona che non vedevamo da tanto tempo, sempre ammesso che, per noi, questa sia una cosa piacevole; suona così: "Benedetto colui che guarisce i malati!", oppure: "Benedetto colui che fa rivivere i morti", intendendo che se non ho visto quella persona, essa poteva essere malata, o che per me, il fatto di non vederla, era come sentirla morta.
Comunque rimane valido il principio che, al di là delle benedizioni a cui noi siamo obbligati dalla normativa o dalla liturgia, o quando godiamo di qualche bene materiale, tipo i cibi, negli altri casi noi siamo chiamati a pronunciare una benedizione solo quando sentiamo la gioia per qualche cosa, quando riceviamo una soddisfazione particolare.


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