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IL PRIMO CAPITOLO DEL PROFETA EZECHIELE
(Rav Luciano Meìr Caro)


  Il cap. 1 di Ezechiele è  straordinariamente difficile; anzi è una delle parti più difficili dell'intero testo biblico, tanto che viene sconsigliato di accingersi a studiarlo da soli, proprio perché può indurre in errore.
  Ezechiele è uno dei tre grandi profeti, cioè quelli che hanno scritto di più, insieme a Isaia e Geremia; Ezechiele è l'ultimo dei tre anche dal punto di vista cronologico. È un profeta che si distacca abbastanza dagli altri per tantissimi motivi. Intanto perché è l'unico profeta del quale sembra si possa dire che ha profetizzato fuori della Terra di Israele, mentre secondo la tradizione ebraica non c'è profezia al di fuori di Israele; per questo motivo qualcuno intuisce (ma non ci sono delle prove) che la sua predicazione profetica sia iniziata in Israele prima della deportazione in Babilonia. Dal testo risulterebbe che Ezechiele è stato deportato non nella deportazione grande, quella che è avvenuta in seguito alla distruzione di Gerusalemme e del santuario, avvenuta nel 587 a. C. circa, ma circa 10 anni prima, nel 597, sotto il re Ioiachìn, quando furono deportati i personaggi più in vista del popolo e i grandi, i nobili, i sacerdoti.
Ezechiele era di casta sacerdotale, era un cohèn, e quindi, in quanto tale, era addetto al culto del santuario. Analogamente a quello che è capitato ad altri profeti, anche Ezechiele sembra che in un primo momento fosse riluttante ad accettare la missione profetica. Si muove molto spesso, dal punto di vista geografico, come lui stesso ci dice, lungo le sponde del fiume Kebàr, piccolo affluente dell'Eufrate.
Altra caratteristica è che alla fine della sua profezia, egli preannuncia la ricostruzione del santuario di Gerusalemme e lo fa presentando delle differenze abbastanza significative dal santuario precedente.
Nel corso del libro per ben 100 volte Ezechiele viene chiamato da Dio con un appellativo particolare e cioè "ben adàm" - figlio dell'uomo. Ma in ebraico, quando un padre si rivolge così al proprio figlio, non dico che sia un atteggiamento sprezzante, ma per lo meno dimostra l'intenzione di ridimensionare la persona; allora, Ezechiele era cohèn e sembra che si desse un po' di arie e così Dio lo abbassa un po'.
Un altro elemento caratteristico di questo profeta è il fatto che lui sostiene che l'intervento redentivo da parte  di Dio nei confronti del popolo ebraico non avverrà perché il popolo se lo merita, come avevano preconizzato certi profeti. L'esilio è la punizione che il Signore manda agli Ebrei che non si son comportati bene: l'esilio è inteso come "fornace per fondere i metalli", dove si perdono le scorie e rimangono le parti migliori; quindi è quella situazione in cui gli Ebrei perdono la parte meno nobile di se stessi e rimangono solo i migliori, i quali, rendendosi conto degli errori compiuti, riacquistano una loro verginità morale e perciò sono considerati degni di tornare alla loro terra. Se questa è la tesi che possiamo scorgere già nel Pentateuco e in altri profeti, Ezechiele propone un'idea diversa. Dio tiene conto di Israele non perché se lo merita; l'esilio non ha niente di positivo, anzi! peggiora la situazione morale degli Ebrei; ma Dio tiene conto di loro per una questione di immagine sua. Il fatto che gli Ebrei siano in esilio e quindi perseguitati, costituisce un'offesa a Dio, in quanto, nell'immaginario collettivo della gente, gli Ebrei sono il popolo di Dio, perciò se vengono trattati male, anche se se lo meritano, ci fa una brutta figura Dio, che perde credibilità. Dio allora provvede a ridare autonomia, serenità, ecc., al popolo ebraico, non perché esso se la meriti, ma perché conviene a Lui.  
  Il capitolo uno di Ezechiele, che racconta la prima visione del profeta, va sotto il nome di "maassè merkavà" e cioè "il fatto, l'opera del carro". Questo "maassè" viene messo spesso in correlazione, nella tradizione ebraica, con il "maassè bereshìt", cioè l'opera della creazione. Entrambi i passi sono considerati spaventosamente difficili, perciò si suggerisce di non studiarli da soli.
  Cos'è questa merkavà ? Io vorrei rapidissimamente suggerire una traduzione di questo capitolo, tenendo conto del fatto che, secondo molti interpreti, questo capitolo non è fine a sé stesso, ma si ricollega ad altri passi dello stesso Ezechiele, il quale proporrebbe questa visione con altre parole, oppure proporrebbe la continuazione della visione del cap. 1 nei capitoli 3, 8 e 10, con delle connotazioni leggermente diverse.

"1Nell'anno trentesimo, nel quarto mese, il cinque del mese, mentre mi trovavo fra gli esuli presso il fiume Chebàr, si aprì il cielo ed io ebbi delle visioni divine. 2Il cinque del mese dell'anno quinto dalla cattività di Ioiachìn 3venne rivolta la parola del Signore ad Ezechiele figlio di Buzì, sacerdote, nella terra dei Caldei, presso il fiume Chebàr. E la mano del Signore fu sopra di lui. 4 Osservai ed ecco un uragano sopraggiungeva da settentrione, una grande nube con lingue di fuoco, che si avviluppavano e irradiavano all'intorno un mirabile splendore, nel centro,  in mezzo al fuoco, sfavillava un bagliore come di haschmàl .  5In mezzo al fuoco mi apparvero la figura di quattro esseri viventi (chaiòt) ; il loro aspetto era tale da sembrare avessero figure umane.  6Ciascuna aveva quattro facce e quattro ali aveva pure ciascuna di esse. 7I loro arti inferiori formavano un arco dritto e la pianta dei loro piedi era rotondeggiante come quella del vitello. Le haiòt sfavillavano come rame lucidissimo. 8Sotto le ali, dai quattro lati, avevano mani d'uomo e tutte e quattro avevano le loro facce e le loro ali.  9Le loro ali si congiungevano l'una all'altra e nel procedere, non si giravano, ma ciascuna camminava nella direzione di una delle sue facce. 10 L'aspetto delle loro facce era così: avevano una faccia d'uomo; tutte e quattro, poi, avevano una faccia di leone a destra, una faccia di toro a sinistra e una faccia d'aquila. Tali erano le loro facce.  11Quanto alle ali, esse erano distese al di sopra, cioè ciascuna aveva due ali che si congiungevano con quelle di un'atra e due ali coprivano il corpo. 12 Ciascuna procedeva nella direzione di una faccia; dove venivano ispirate di andare, andavano, senza bisogno di girarsi. 13 Quanto alla parvenza delle chaiòt, il loro aspetto era quello di carboni ardenti, come un fuoco di fiaccole che guizzava anche fra le chaiòt stesse. Un fuoco abbagliante da cui lampeggiavano fulgori. 14Le chaiòt correvano di qua e di là come il guizzare dei lampi. 15Osservando le chaiòt vidi poi a terra, sotto le chaiòt stesse, una ruota per tutte le quattro facce. 16L'aspetto delle ruote e la loro struttura era come di crisolito; un aspetto identico per tutt'e quattro e apparivano composte di una ruota dentro un'altra. 17Procedevano dai quattro lati senza girarsi nel loro procedere. 18I loro cerchi, che erano alti, incutevano terrore; tutt'e quattro i cerchi erano pieni di occhi tutt'intorno. 19Quando le chaiòt procedevano, anche le loro ruote procedevano con loro e, quando le chaiòt si levavano da terra, anche le ruote si alzavano con loro. 20Ovunque veniva l'ispirazione alle chaiòt di andare, là, nella medesima direzione, andavano anche le ruote, le quali si levavano corrispondentemente, perché erano animate dallo stesso spirito delle chaiòt. 21Quando procedevano le une, anche le altre procedevano e quando si fermavano le une, anche le altre si fermavano; quando si alzavano dal suolo, anche le ruote si alzavano, perché il medesimo spirito delle chaiòt animava le ruote. 22Sopra la testa delle chaiòt appariva come uno strato impressionante di ghiaccio, che si estendeva proprio al di sopra delle loro teste. 23Sotto lo strato erano ritte le loro ali, l'una  presso l'altra; ciascuna di loro ne aveva due che gli coprivano il corpo. 24Udii il rumore delle ali quando procedevano; erano come lo scroscio di grandi masse d'acque, come fragoroso tuono divino, come il fracasso di un esercito accampato. E quando si fermavano, ripiegavano le loro ali. 25Una voce si percepiva sotto lo strato che sovrastava le loro teste. Allorché si fermavano, ripiegavano le ali. 26Al di sopra dello strato che era sulle loro teste, appariva una specie di pietra di zaffiro, a forma di trono e sopra a questa specie di trono, come una sembianza dall'aspetto umano, in alto. 27Vidi un fulgore come di haschmàl, avvolto in una sembianza di fuoco, che lo attorniava, ciò dal punto che sembrava essere dai lombi in su; invece dal punto che sembrava essere dai lombi in giù, vidi come un fuoco cinto e splendente, di splendente luminosità. 28Come l'aspetto dell'arcobaleno, che è nella nube in un giorno di pioggia. Tale era l'aspetto della luminosità tutto intorno; essa era l'aspetto della gloria del Signore. Osservai, mi gettai a terra e udii una voce che parlava."

E poi viene la profezia. Questa è la famosa visione del carro. Ripeto: è quasi del tutto incomprensibile, perché siamo in un terreno che è spaventosamente difficile da capirsi. Che cosa possiamo dire? Qualcuno dice che il testo si è guastato nel corso del tempo; probabilmente c'era un testo originale dove le cose dovevano essere molto più chiare, che si è guastato, o per gli anni, o volutamente, perché si è voluto renderlo ancora meno comprensibile di prima, per evitare troppe personificazione della figura di Dio.
  Se confrontiamo questo testo coi capitoli che vi citavo prima, forse riusciamo a capire qualche cosa di meglio. Ci sono elemento che ritornano, nei capitoli 1, 3, 8 e 10. Vediamoli.
Intanto questa merkavà: è un termine ebraico che viene dalla radice áëø , che vuol dire carro, cavalcare.
Poi c'è l'elemento del fuoco e della luminosità. In particolare nei capitoli 3, 8 e 10 compaiono i cheruvìm , ma nessuno sa realmente cosa siano. Noi li traduciamo con cherubini e ci immaginiamo gli angioletti paffutelli, dalla faccia di bambino. Notiamo, invece, che cherùv contiene le stesse lettere della parola rechev; la radice cavalcare o carro, è uguale alla radice di cherùv, con una forma di metatesi e non è indifferente il fatto che tutta questa visione sia avvenuta sul fiume Chebàr. Anche questo nome è composto dalle stesse consonanti ø, ë e á. Quindi sul fiume Chebàr appare la merkavà, il carro di Dio, che, in una seconda versione, o con delle aggiunte, viene associato ai cheruvìm.
La storia dei cheruvìm e del carro è abbastanza frequente nella letteratura ebraica antica; si trovano molti riferimenti nel libro dei salmi e soprattutto è frequentissima nella letteratura semitica preisraelitica, prebiblica. Gli autori della Bibbia, cioè, attingono a piene mani da tradizioni mitologiche, che facevano parte del panorama culturale della gente.
  Quando leggo questo passo, mi sovviene quasi immediatamente il ricordo di un altro passo biblico che si trova nel libro dell'Esodo, quando si parla della teofania di Dio sul monte Sinài, l'apparizione nella quale Dio rivela i dieci comandamenti - anche questo è un passo molto difficile, perché non sappiamo bene come collocarlo - Dei dieci comandamenti, poi, ci sono più versioni: oltre le due versioni, una del libro dell'Esodo e l'altra del Deuteronomio, si trova sempre nel libro dell'Esodo lo stesso racconto, ma riproposto in forme diverse. Non sappiamo bene come sono andate le cose: questo Dio è apparso sul monte Sinài, dove ha proclamato i dieci comandamenti, oppure come altri passi sembrano farci pensare?
Non credo sia inutile leggere rapidamente il passo di Esodo 24. Per riprendere le fila diciamo che i comandamenti compaiono al cap. 20, subito seguiti da una serie di norme date agli Ebrei e subito dopo si racconta di un altro viaggio fatto da Mosè sul monte Sinài; non sappiamo bene se si tratti della ripetizione dello stesso racconto precedente o di un altro viaggio al Sinài.
Il testo è così:
"1Dio disse a Mosè:  "Sali nel monte verso il Signore tu e Aronne, Nadab e Abiu e insieme settanta anziani d'Israele; voi vi prostrerete da lontano, 2poi Mosè avanzerà solo verso il Signore, ma gli altri non si avvicineranno e il popolo non salirà con lui"".
Poi Mosè riferisce al popolo ogni cosa, ecc. ecc. Passiamo un po' più avanti:
"7Quindi prese il libro del patto e lo lesse agli orecchi del popolo."
Ma cos'è questo libro del patto? Sono i comandamenti, chiamati così, oppure si tratta di un altro messaggio divino?
"E il popolo disse:  "Tutte quello che il Signore ha detto, noi faremo e ascolteremo!".  
Quindi c'è stata un'approvazione preventiva del popolo ai comandamenti, o a questo libro del patto? Non lo sappiamo. Poi Mosè prende del sangue e ne asperge il popolo, stipula un altro patto, ecc. ecc. La cosa su cui volevo attirare la vostra attenzione è questa: a un certo punto dice:
9 Mosè e Aronne e i settanta anziani di Israele salirono e 10videro il Dio d'Israele: sotto i suoi piedi vi era come un manufatto di biancore di zaffiro e come lo splendore del cielo per purezza.
Si fa riferimento a una visione che avrebbero avuto questa gente in occasione dell'ascensione al Sinài. Ma quando? Prima dei comandamenti, in occasione dei comandamenti o dopo? E questo è già difficile collocarlo, ma la cosa più difficile è cosa vuol dire che "videro il Dio di Israele"? Cos'hanno visto? E c'è questa descrizione che mi ricorda la descrizione di Ezechiele. Ancora una cosa difficile da capire è il seguito:
11Verso i nobili dei figli di Israele non stese la mano: e videro Dio e mangiavano e bevevano.
Chi è che non stese la mano? Se permettete, siamo proprio nel vuoto assoluto. Tenete conto che "stendere la mano" nel linguaggio biblico, molto spesso significa un atto minaccioso. Sembrerebbe che in quest'occasione Dio avrebbe dovuto stendere la sua mano minacciosamente contro questi nobili, ma non l'ha fatto. C'è chi interpreta questo in senso negativo e sostiene che questi non han capito niente: hanno visto Dio - ammesso che Dio si possa vedere - e cos'hanno fatto? Si son messi a mangiare. "Sì la visione è bellissima, però adesso mangiamo"; insomma, non hanno capito l'importanza del momento che stavano vivendo e si son messi a mangiare e bere.
Chi lo interpreta in senso positivo, invece, dice che non vuol dire che si son messi a mangiare e a bere, ma che questi nobili hanno visto Dio e hanno percepito in se stessi la sensazione di chi non sente la necessità di mangiare e bere. La visione di Dio li ha soddisfatti completamente anche dal punto di vista fisico e non avevano bisogno di mangiare e bere.
Comunque non sappiamo cosa sia successo; voi intendetela come vi pare.
Anche qui c'è questa visione di un qualcosa che sta ai piedi di Dio e un qualcosa di un biancore, lo zaffiro, su cui c'è qualcosa; sono analogie col brano di Ezechiele.
  C'è chi sostiene che per capire bene questo passo, dobbiamo rifarci alla mitologia, alla tradizione antica che riguardava la famosa questione del "trono di Dio". Nel mondo antico semitico, la divinità veniva interpretata come un qualcosa che sta al di sopra di un trono. Vi ricordate il passo dell'Esodo che riguardava la guerra tra Amalèk e Israele? Amalèk era una popolazione ostile a Israele, che ha combattuto senza motivo con gli Ebrei e che quindi è il simbolo dell'antisemitismo allo stato puro. Bene, questa prima guerra è stata affrontata da Mosè, appena il popolo era uscito dall'Egitto e in essa Giosuè ha condotto le operazioni militari, dopo le quali si dice: "L'Eterno si rivolge a Mosè e dice: "Metti per iscritto questo episodio, poiché bisogna distruggere la progenie di Amalèk da sotto il cielo". Questa cosa è accompagnata da questa frase: "C'è una mano sul trono di Dio". Che sostiene che ci dev'essere una guerra imperitura contro Amalèk. Come se Dio dicesse: "Lo giuro". La forma antica di giuramento era quella che il giurante metteva la mano su qualcosa di sacro; Dio per giurare mette la sua mano sul trono. È straordinariamente difficile tutto questo e anche pericoloso, perché ci presenta Dio in forma antropomorfa molto spinta. Il trono di Dio era un elemento portante nella concezione del mondo antico. Cosa sia poi questo trono di Dio non lo sappiamo. Può darsi che sia il cosmo: l'essenza del cielo, lo splendore, la luminosità, ecc.
  Ancora due parole sui cherubìm. Cosa sono?
Premetto che non lo sappiamo. Se ne parla diffusamente, ma senza che ne capiamo niente, nella descrizione delle suppellettili del tabernacolo costruito dagli Ebrei nel deserto, dove si dice che tutto questo grande tabernacolo, una specie di santuario portatile, era una grande struttura smontabile, all'interno della quale c'era un locale, una tenda, dentro la quale c'era una cassetta che conteneva le tavole coi dieci comandamenti del Sinài. Al di sopra della cassetta c'era un coperchio con due cherubini, fatti di getto, cioè il coperchio coi due cherubini dovevano essere di un pezzo d'oro unico e lavorato. Il testo dice che i due cherubini si guardavano l'un l'altro e avevano le ali che si incontravano al di sopra di loro e dal mezzo dei due cherubini Mosè sentiva la voce di Dio.
L'interpretazione ufficiale e anche pittorica è che i cherubini fossero figure umane, angeliche in qualche modo. Ma tutto questo non ha nessunissima presa sulla realtà dei fatti, perché l'espressione "si guardavano l'un l'altro" può anche non essere riferita a due figure di persone, ma anche a due strutture forti qualsiasi che siano in corrispondenza l'una all'altra.
Anche caratteristico è Dio rappresentato come "cavalcante le nubi". Secondo qualcuno i cherubini non erano assolutamente figure umane, ma rappresentazioni in oro del cielo e forse delle nuvole del cielo o delle forme che potevano sembrare delle ali. Siamo veramente in un discorso molto molto difficile.
  Nel capitolo 1 di Ezechiele ci sono altri elemento caratteristici. Ad es. il numero 4 che ritorna frequentemente. Nella numerologia antica è un numero molto importante; c'è chi dice che tutta la cronologia biblica è fondata sul  numero 4 e i suoi multipli. I 40 giorni del diluvio, i 40 anni nel deserto, i 40 giorni di Mosè sul Sinài, i 400 anni del soggiorno degli Ebrei in Egitto e così via. Anche la vita di Mosè si dice fosse di 120 anni, cioè 40x3 e la visione di Dio la ebbe a 80 anni. Di Sara si dice che è morta all'età di 127 anni, che sono 40 x 3 + 7: aveva un certo significato tutto questo, ma il testo non vuole darci indicazioni numeriche, ma farci entrare in una prospettiva molto diversa dalla nostra.
Nella letteratura semitica si parla sempre dei quattro angoli della terra.
  E poi cosa sono le facce delle chaiòt? Uomo, bue, leone e aquila? Qualcuno dice che si potrebbe anche interpretare così: l'uomo è simbolo dell'intelligenza, il leone del coraggio, il bue è il simbolo della forza e l'aquila è la regina del cielo. Poi ci sono questi elementi che si trovano nel testo, cioè gli occhi. Occhi che guardano dappertutto e perciò qualcuno dice che sono simboli cosmici che starebbero a indicarci le varie forze che dominano l'universo e che possono anche essere rappresentate nelle connotazioni specifiche dell'uomo, con delle simbologie di carattere cosmico.
  Volevo dirvi ancora solo questa cosa a proposito della merkavà, il carro.
Oltre a tutte le altre cose, il carro, nella visione biblica, è anche l'elemento caratteristico che sta ad indicare la potenza militare. È anche uno status symbol, diremmo noi; vi ricordate quando Giuseppe va in Egitto e si dice che il Faraone lo fece montare sul suo carro? Era una specie di designazione ad avere una carica. Come dire, oggi,  dare la Mercedes a qualcuno o la Ferrari. Inoltre, dal punto di vista militare, era un qualcosa che impressionava moltissimo gli antichi; si dice che i Filistei incutevano gran terrore, perché avevano una cavalleria  e dei carri considerati blindati. Quindi in tutto questo discorso c'è l'elemento del trono di Dio, l'elemento cosmico, ma anche l'elemento della potenza, della onniscienza di Dio.
  Un elemento nuovo che voglio proporre alla vostra attenzione, riguarda la visione di Dio. Anche Isaia ha avuto una visione simile; anche il testo citato dell'esodo parla del trono di Dio, ma in Ezechiele la novità sta nel movimento. Il trono della Torà e il trono di Isaia sono statici, mentre in Ez c'è questa cosa che si muove in tutte le direzioni; non c'è Dio seduto sul trono, ma c'è un qualche cosa che potrebbe rappresentare il trono di Dio e che si muove. Qualcuno dice - e così ci avviciniamo a un tentativo di spiegazione dato dai maestri del midràsh - che tutta questa descrizione del carro divino, sarebbe in relazione al periodo storico che stavano vivendo gli Ebrei. Pensate al periodo di grande crisi: gli Ebrei hanno perso l'indipendenza andando in esilio, hanno perso il santuario, la capitale, tutto; quindi poteva subentrare in loro la disperazione, dovuta alla concezione, combattuta dai profeti, ma abbastanza insita nella fantasia popolare, che il santuario di Gerusalemme fosse la sede di Dio; quindi, non c'è più il santuario, non c'è più Dio. Forse nel discorso di Ezechiele c'era la volontà di insegnare che il racconto del carro divino vuole dimostrarci che la grandezza di Dio non è nel santuario, ma nel cielo e si sposta, non è legata a una località specifica. Perciò sembra che Ezechiele voglia dire al popolo che non devono essere scoraggiati.
  Ancora qualche parola in riferimento alla letteratura posteriore: si dice che il primo capitolo di Bereshìt non si dovrebbe leggere da soli e il maassé merkavà non si dovrebbe interpretare da soli, per capire qualcosa, a meno che non si tratti di una persona che sia chachàm , cioè saggia, sapiente e in grado di capire con la sua mente, che abbia delle capacità di indagini superiori alla media.
  Riguardo alla parola chashmàl. Quando non si riusciva a trovare il significato di una parola particolarmente difficile, si ricorreva a uno strumento chiamato notarikòn. Si tratta di prendere la parola e considerarla non come un elemento a se stante, ma come una specie di acronimo: si scompone la parola in più parti e poi le si mettono insieme, ammesso che le varie parti vengano a dire qualcosa. Ad es. cashmàl potrebbe essere una condensazione di questa espressione: una ch, una sh, una m e una l  - allora: chaiòt esh, gli esseri infuocati, di fuoco, memmalelòt, che parlano. Quindi chashmàl potrebbe significare degli esseri a noi sconosciuti, che non fanno parte della natura, che sono qualcosa di infuocato e dicono qualche cosa.
Qualcuno però dice che tutto questo non centra niente e che chashmàl sta a indicare il colore: è l'azzurro del cielo.
Altri dicono che questo termine indica la parte più chiara della fiamma, quella più interna e più chiara e forse più calda. Altri fanno riferimento a un metallo splendente.
  In ogni modo ripeto che questo passo è straordinariamente difficile. Vi invito a tornarci sopra, se ne avete voglia e a rimanere con tutte le curiosità che avevate prima. Mi pare di poter dire, in maniera molto grossolana, che siamo di fronte a qualcosa di strettamente legato con Dio, che si muove, che ha degli occhi e che ha tante forme, prese anche dalla natura. Fra l'altro ho dimenticato di dire che nel testo si dice che il tutto era preceduto da un grande uragano. Si parla anche di un grande chiasso, simile a delle cascate d'acqua o al rumore che fa un esercito.  
  Non dimenticate il momento storico: l'esilio. Per cui il profeta sembra voler dire al popolo: adesso non avete niente, ma guardate che c'è qualcosa che possiede la potenza, che va molto al di sopra delle cosiddette potenze militari umane. E in questo senso il capitolo 1 si può inserire nella visione delle ossa del capitolo 37.
  La visione sarebbe avvenuta nei pressi del fiume Kebàr, in una zona dove abitavano gli Ebrei e precisamente in una città chiamata Tel Avìv, da cui deriva il nome della città di oggi. E Tel Avìv è proprio in relazione alla faccenda delle ossa: Tel, in ebraico, è un termine tecnico che sta ad indicare una protuberanza del terreno dove c'era un'antica città, distrutta. Avìv vuol dire primavera. Quindi emerge il contrasto tra una realtà ormai scomparsa e seppellita e la primavera, cioè una cosa nuova, una vita nuova. Anche questo nome, dunque, vuole essere un incoraggiamento per gli esuli: voi pensate di essere in mezzo alla distruzione, ma ci sarà una resurrezione.







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