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Attualità di Geremia
(rav Luciano Meìr Caro)


Prima di tutto può essere utile collocare il libro di Geremia all'interno della Bibbia. La Bibbia ebraica è così suddivisa: Torà, cioè il Pentateuco, i Profeti e gli Agiografi. I profeti sono a loro volta divisi in Profeti anteriori e Profeti posteriori; i Profeti anteriori sono, in realtà, libri storici, cioè i libri di Giosuè, Giudici, Samuele e si chiamano così perché, teoricamente, chi li ha scritti era animato da spirito profetico. Poi ci sono i profeti posteriori, così chiamati perché vengono dopo come ordine nella rilegatura del testo;  ci sono i profeti maggiori e i profeti minori. I primi hanno lasciato scritti più abbondanti e quelli minori sono quelli che o hanno scritto poco o di loro ci è pervenuto poco; tutti i 12 minori non arrivano alla consistenza di uno dei profeti maggiori. I maggiori sono Isaia, Geremia ed Ezechiele, inserito nel testo biblico in ordine cronologico.
Tra tutti i grandi profeti che noi conosciamo,-  a prescindere da Mosè, che è stato il grande profeta, ma che non ha scritto un libro di profezia, ma è co-autore con l'Eterno, della Torà - , Geremia è sicuramente quello di cui abbiamo più dettagli sulla sua vita personale. Forse io sono un po' prevenuto in senso positivo, perché, avendo tradotto il testo di Geremia per l'edizione della Bibbia di Di Segni, me lo sento molto vicino, soprattutto per la conflittualità che lui dimostra costantemente.
Geremia vive in un tempo particolarmente turbolento, che richiedeva delle decisioni veramente non facili da prendersi. La sua conflittualità deriva anche dal fatto che lui doveva affermare di essere costretto a dire delle cose che non facevano parte del suo carattere. Fa delle profezie che non avrebbe voluto fare.
Fra Geremia e Mosè c'è, da questo punto di vista, una grande affinità, perché hanno in comune il fatto che a loro sia stata imposta la profezia da parte di Dio; hanno ricevuto un incarico che non volevano e che hanno continuato a rifiutare per tutta la loro esistenza, ribellandosi. Mosè faceva il pastore e non ne voleva sapere di lasciare tutto per andare a liberare il popolo, finché Dio glielo impone. Anche nel corso della sua vita sentiamo che Mosè, ogni tanto,  si ribella e dice che non ce la fa più, che se ne vuole andare.
La stessa cosa capita a Geremia, con un'aggravante. Si dice di lui, nel primo capitolo: "Io ti ho scelto prima che tu fossi formato nell'utero materno". Mosè poteva dire: "I miei primi 80 anni li ho trascorsi più o meno serenamente", invece Geremia no. Il programma era già molto chiaro; se eleggete il cap. 1 lo dice, al v. 4: "Prima che tu fossi formato …ti ho conosciuto (conoscere vuol dire scegliere ) e prima che tu uscissi dall'utero ti ho consacrato e ti ho posto come profeta per le nazioni".  Geremia si lamenta, dice che è troppo giovane, ma il Signore risponde e dice: "Non dire: sono giovane, perché comunque dovrai fare quello che ti dico io". Al v. 10 dice: "Stese il suo braccio, mi toccò sulla bocca e disse l'Eterno a me: Ecco io pongo le mie parole nella tua bocca … per distruggere, abbattere, mandare in rovina e per costruire e piantare". Vedete tutte queste espressioni: l'incarico è di annunciare la rovina. Questo è il compito di Geremia, il quale ogni tanto dice: "A me piaceva tanto la vita tranquilla" e impreca anche con parole forti ed espressioni violente: "Tu mi hai sedotto e mi son lasciato sedurre, non ho reagito"; oppure se la prende con sua madre: "Perché mi hai generato?". Impreca contro il suo destino pesante, ma che lui ha portato a termine in modo molto coerente. In questo suo protestare contro Dio, mi ricorda Giobbe, che dice: "Stavo così bene quando non c'ero! Cosa son venuto al mondo a fare?".Un'altra cosa positiva del libro è che, a differenza di Isaia o Ezechiele, il linguaggio è relativamente facile, non è aulico, poetico.
Non sappiamo bene da quale radice possa venire il nome Geremia - Why"m.r>yI - La Yahu finale è sicuramente un'indicazione di Dio; la prima parte, yrm, non è ben chiaro se viene da rm, che vuol dire gettare, cioè 'quello che Dio ha gettato', oppure, secondo qualcun altro, dalla radice rum, alzare, 'colui che Dio innalza'.

Ancora una parola sull'inizio. Il testo comincia così: Why"m.r>yI yreb.DI parole di Geremia, figlio di WhY"qil.xi Chelchiyahu, dei sacerdoti, tAtn"[]B; rv,a che erano in Anatòt, nella terra di Beniamino.


Credo che già questo sia un programma, perché la casta sacerdotale abitava a Gerusalemme, mentre sembra che il testo ci voglia far capire che Geremia non abitava a Gerusalemme, ma in una località al confine tra il territorio della tribù di Giuda e il territorio della tribù di Beniamino: la tribù più grande e quella più piccola. Anatòt era poco in là, ma dentro il territorio di Beniamino, fuori da Gerusalemme. Questo fatto ci fa capire che lui non faceva parte dei sacerdoti che erano in servizio a Gerusalemme, ma apparteneva a un settore di sacerdoti, forse dissidenti. Il fatto che Geremia fosse cohèn si ritrova spesso nel testo, in particolare nelle similitudini. Ad esempio pensiamo ad Amos, che faceva il bovaro: spesso nelle similitudini adopera immagini prese dal suo mondo, come quando paragona le donne ebree del suo tempo alle vacche del Bashàn.

Geremia invece introduce altre immagini, a lui più vicine: offerte, cose sacre, ecc. In 2, 3 egli dice: "Israele è cosa sacra all'Eterno, principio del suo prodotto, chiunque lo mangia è colpevole", riferendosi al fatto che c'erano dei prodotti destinati ai sacerdoti e nessuno poteva mangiarli, tranne loro.
Volevo inquadrarvi rapidissimamente il periodo storico. Tutta la narrazione storica del libro biblico ci presenta la storia di Israele in primo piano, ma non dimenticate che Israele era una realtà geograficamente e politicamente irrilevante. Tutto il vicino oriente, intendendo dai confini dell'India fino alla Libia, è sempre stato, per millenni, sede di conflitto tra due grandi potenze: quella orientale e quella occidentale. La potenza occidentale era l'Egitto, quella orientale era stanziata nella regione mesopotamica, corrispondente oggi grosso modo all'Iraq, abitata prima dai Caldei, poi dai Sumeri, dagli Assiri e dai Babilonesi e successivamente dai Persiani. Ebbene, questi due mondi si sono combattuti per millenni per avere la prevalenza su tutto questo territorio; ognuna delle due potenze aspirava ad avere il dominio assoluto e chi si trovava in mezzo, nella zona corrispondente a Israele, Libano, Siria, Giordania, Arabia, era considerato proprio possedimento da entrambe le potenze. La potenza orientale desiderava avere lo sbocco nel Meditteraneo e quindi poter controllare il traffico navale e Israele si trovava proprio nel punto giusto; inoltre offriva il dominio su un importantissimo nodo di comunicazioni via terra. I Romani la chiamavano via maris, la strada del mare, che costeggia il Mediterraneo e percorre tutta l'Africa settentrionale e attraversa Israele, per arrivare in Europa o in Asia: questo è il crocevia e ci fa pensare anche alla politica inglese di 60-70 anni fa, che non ne voleva sapere di mollare il dominio.
Un autore egiziano del 1500 a. E. v racconta di aver studiato a scuola che tutte quelle zone erano possedimenti egiziani e ha deciso di andarle a visitare. Arrivando si presentava con molto sussiego dicendo: "Io sono egiziano" e si aspettava grandi riverenze, mentre nessuno lo degna di uno sguardo. Un po' come i Romani: "Civis romanus sum". Anche in altri documenti risulta la stessa cosa, che cioè l'Egitto continua a pensare che quelli siano suoi territori, ma non lo erano più. Tutti i piccoli stati, come Israele, la Fenicia, gli Hittiti, i Moabiti, cercavano di barcamenarsi come potevano. Questa è la situazione.
Orbene, Geremia vive in un momento drammatico: siamo nel 650 c. ca a. E. v. e si sta compiendo il passaggio dalla potenza assira, con capitale Ninive, che era entrata nella storia in modo molto violento, circa 800 anni a. E. v. e aveva conquistato tutto l'oriente in modo dilagante, fino ad arrivare ai confini con l'Egitto. A un certo momento accade che l'Assiria decade per questioni interne, perché una delle città, Babilonia, si ribella, mentre sta nascendo l'astro babilonese che prenderà il suo posto. L'Egitto, che aveva sempre fatto guerra agli Assiri, quando vede spuntare Babilonia, si allea agli Assiri, per lasciare che si scannino con i babilonesi e intervenire successivamente.
Torniamo in Israele. Alla morte di Salomone Israele si era diviso in due: il regno di Giuda, piccolino e il regno di Israele, molto più ampio. A un certo punto il regno di Israele si era coalizzato con altri per scuotere il giogo assiro, mentre Giuda era rimasto in disparte. Ma l'Assiria distrugge il regno di Israele, perciò rimane solo il piccolo Giuda, che di fatto aveva accettato la sottomissione all'Assiria. Gli Assiri, oltre ad aver inventato molti artifizi militari, hanno introdotto anche la terribile manovra della deportazione; quando andavano per conquistare un paese, la prima cosa che facevano era sradicare la popolazione dalla sua terra, perché chi rimane in casa sua, prima o poi si ribella. Mentre a 3000 km di distanza, isolati completamente, non pensano più alle loro radici e, piano piano, si assimilano.
Giuda, quindi, assiste allo sgretolamento del regno assiro, al nascere della potenza babilonese e, dall'altra parte, alla pressione dell'Egitto che insiste perché si alleino con loro, promettendo grandi soddisfazioni.
Geremia nasce in questo contesto, attorno al 650 a. E. v. e la rivelazioni divina lo avrebbe raggiunto nel 626, quando aveva circa 20 anni.

Tornando verso l'interno del mondo ebraico, lasciando da parte la politica internazionale, vorrei fare riferimento a una cosa che Geremia descrive e che si trova nel libro dei Re. Si racconta che il re Giosia ordina un restauro del santuario di Gerusalemme, che era stato costruito 400 anni prima per ordine di Salomone. Viene organizzato questo grande rifacimento, nel corso del quale viene trovato un rotolo che doveva corrispondere al testo del Pentateuco o, quanto meno, al libro del Deuteronomio; viene letto e giudicato molto interessante anche dai sacerdoti, i quali lo portano dal re. Nessuno, però, lo conosceva. E se non conoscevano il testo biblico, il santuario in base a quali leggi funzionava, che cosa regolava il culto? È un mistero; forse è tutta una messa in scena, perché almeno oralmente la Bibbia la conoscevano. Il re, comunque, si straccia le vesti, fa penitenza perché vede sé e il suo popolo così lontani da quanto sta scritto in quel libro e organizza un'assemblea a Gerusalemme nella quale viene proclamata la costituzione dello stato, che ha per legge il libro della Torà. Letto così sembrerebbe che siamo nel 620 c. ca a. E. V. quindi 4 o 5 anni dopo l'inizio della predicazione di Geremia. Ma prima come vivevano? Qualcuno dice che tutto questo faceva parte di un piano del re, il quale ha fatto finta di trovare il libro e ha chiesto il consenso popolare e delle caste sacerdotali in opposizioni alle classi dei nobili, ai quali non interessava nulla del testo biblico; ad esempio tenevano gli schiavi, mentre la legge divina dice che dopo 6 anni gli schiavi andavano rilasciati. Qualcuno dice che probabilmente quegli schiavi servivano al re come soldati nel suo esercito. Si capisce dal testo, però, che il re non è riuscito in concreto a dominare la situazione, per cui si vengono a trovare i nobili da una parte, i sacerdoti da un'altra, i poveracci da un'altra. Come ora, praticamente. Confusione all'interno e rivolgimenti politici enormi all'esterno. Cosa si fa?
Sto parlando del re Giosia, di origine davidica, che aveva tre figli: Ioachaz, Ioiachìn e Shallùm. Siamo nel 610- 609 e succede che il faraone manda un esercito, che sbarca presumibilmente ad Acco, vicino ad Haifa, con lo scopo di andare ad appoggiare gli Assiri contro i Babilonesi. Il re Giosia si oppone all'Egitto e non vuole che il suo esercito passi attraverso il suo territorio; non vuole aiutare gli alleati degli Assiri, pensando che certamente sarà Babilonia a vincere. Sembra che Giosia, negli anni precedenti, si fosse recato da una profetessa a chiedere quale sarebbe stato il suo avvenire: "Come morirò?"; quella gli avrebbe risposto: "Morirai nel tuo letto". Lui ha interpretato quelle parole come se volessero dire che sarebbe morto di vecchiaia, quindi pensava di potersi anche permettere una guerra. Così Giosia si mette a capo di un esercito ebraico per contrastare il passaggio delle truppe egiziane e avviene un famoso scontro a Meghiddo, località ancor oggi nota, nel quale l'esercito ebraico subisce una forte sconfitta. Il re Giosia, colpito, viene portato a Gerusalemme, dove morirà, nel suo letto, per la ferita morta le riportata. Avendo perso tempo con gli Ebrei, gli Egiziani dovettero rinunciare ad andare ad aiutare gli Assiri, però, di fatto, l'Egitto lascia un corpo di spedizione in terra di Israele e sostituiscono il re morto, mettendo sul trono il suo primogenito, Ioachaz; pare che, tra i figli del re, fosse quello che aveva dimostrato maggior vicinanza alle posizioni politiche egiziane, perciò garbava all'Egitto.
Così il regno di Giuda diventa un satellite dell'impero egiziano. Ioachaz muore in poco tempo, non sappiamo bene se di malattia o di altro e gli succede Ioiachin, anch'egli sostenitore della posizione filo-egiziana. Vive un periodo molto difficile della vita, perché c'è stata una prima incursione babilonese contro Gerusalemme. Arrivano i babilonesi, scardinano il regime egiziano e ne mettono un altro; deportano Ioiachìn con una prima infornata di ebrei nobili in Babilonia. In territorio ebraico instaurano un regime filo-babilonese, con un governatore che era il terzo figlio di Giosia, Shallùm e che, forse, aveva dato manifestazioni di favore verso Babilonia. Caratteristica del mondo antico era che quando un regime metteva sul trono qualcuno, gli cambiava anche il nome, quasi a sottolineare che lui non è più quello di prima e che deve tutto ai conquistatori e da loro dipende. Shallùm diventa Chilchìa, che sale sul trono in condizioni disperate, ma nel frattempo era successa una cosa importante: una delle battaglie di cui parla anche Geremia e che è considerata una delle più importanti della storia umana. Questa avvenne nel 609 c.ca e ha causato decine di migliaia di morti; il luogo è Karchemìsh, una località dell'attuale Siria, a una centinaia di km ad est di Aleppo. Le truppe egiziane, che cercavano di nuovo di andare ad aiutare gli Assiri, si scontrano contro i babilonesi, ma vengono sconfitte pesantemente. Questa battaglia ha costituito la discriminante tra la cessazione dell'impero assiro e il sorgere ufficiale dell'impero babilonese; gli egiziani rinunciano al predominio sull'oriente. Geremia cita molto spesso questi fatti, con delle notazioni di carattere anche strategico; ad es. dice che Faraone è intervenuto troppo tardi.
Siamo nel 607-606 a. E. v., ma le cose non finiscono così. L'Egitto non demorde e cerca di organizzare sollevazioni di staterelli contro Babilonia, invitandoli alla ribellione. Chi abitava nel regno di Giuda in quel momento era lacerato dal dubbio: "Cosa si deve fare?". C'era il partito di chi voleva accettare il dominio babilonese perché Babilonia ormai era giunta all'apice della sua potenza e non si poteva far niente contro di loro; altri, invece, sostenevano l'alleanza con l'Egitto, che era ai loro occhi sempre la grande potenza occidentale. C'era, poi, chi rimaneva nel mezzo e suggeriva di lasciar stare le cose così, perché l'impero babilonese era in auge in quel momento, ma prima, al suo posto, c'era l'impero assiro, a sua volta subentrato al posto dei Caldei e la catena potrebbe andare indietro all'infinito. Quindi alcuni dicevano di rimanere sotto il dominio dei potenti, che, comunque, prima o poi, sarebbero crollati, dando loro la possibilità di riacquistare la libertà. Si capisce che fra le varie fazione c'era lotta e accuse reciproche.
In questa situazione appare Geremia, sostenitore del principio che bisogna accettare la dominazione babilonese, ma non per amore verso di loro, ma perché non c'è niente da fare. Intanto non bisogna fidarsi degli altri popoli, soprattutto degli Egiziani, che volevano sfruttare Giuda e Israele per fare i loro interessi. Geremia invita a tener duro, a sopravvivere, perché certamente Dio aiuterà il popolo e Babilonia è lo strumento di Dio, che vuole punire Israele per i suoi peccati.
Quelli che sostenevano la necessità di combattere contro i babilonesi, affermavano che gli Egiziani, poi, li avrebbero aiutati. Inoltre dicevano che per loro era impossibile perdere, perché nel loro territorio c'è il santuario e Dio non consentirà mai che il santuario cada in mano ai nemici. Geremia si arrabbia e dice che non è più la casa di Dio, ma una spelonca di ladroni, che sarà ridotta in rovina. La gente si scandalizza delle parole di Geremia, che profetizza la distruzione del santuario costruito da Salomone. Ma Geremia continua, fino al punto di essere messo in prigione. A salvarlo saranno alcuni suoi amici, fra i quali il re, che ufficialmente lo teneva in prigione, ma in segreto gli mandava a chiedere dei pareri. Lui continuava a rispondere: "Accetta il dominio dei babilonesi, perché anche Babilonia dovrà bere calice amaro. Adesso è strumento di Dio per poter punire i popoli, ma verrà anche il suo turno e sarà punita a sua volta. Dobbiamo solo aspettare, comportandoci rettamente davanti al Signore e accettando la purificazione". Geremia era continuamente tacciato di tradimento; entrava e usciva dalla prigione, continuando a dire al re le stesse cose, a scongiurarlo di non entrare in nessuna coalizione, perché quello era l'unico modo di salvare il salvabile. I nazionalisti, invece, sostenevano che bisognava ribellarsi. Dalla nostra posizione è facile giudicare le cose, perché sappiamo come è andata a finire, ma in quel momento era molto difficile scegliere.
Succede che il re cede ed entra in una coalizione anti-babilonese; scatta la rivolta, che sembra vittoriosa, in un primo momento, perché la guarnigione nemica viene cacciata da Gerusalemme. Ci si aspettava l'arrivo degli egiziani, che invece non si fanno vedere e se la prendono con calma, senza muovere un dito. Così, all'arrivo di Nabucodonosor, nel 596-597, che assedia Gerusalemme e la conquista, sono proprio gli Ebrei e solo loro, a pagare il prezzo della rivolta contro Babilonia. Nabucodonosor deporta i Giudei, riuscendo a catturare anche il re che cercava di scappare assieme ai suoi due figli; viene portato a Rivlà, dove c'era il quartier generale dei babilonesi, e lì viene giudicato e ucciso, dopo averlo costretto ad assistere all'assassinio dei suoi figli. Questa era semplicemente la norma di guerra dei babilonesi, perché, dal loro punto di vista, il re Chilchìa aveva tradito un giuramento, che lui aveva fatto alla corona babilonese.

Un piccolo particolare: tra le altre cose, è stato bruciato il santuario. Sembra che non fosse nei programmi di Nabucodonosor, ma che sia stata l'iniziativa di un ufficiale locale babilonese; non si trattava di distruggere per distruggere, ma c'era sotto una valutazione politica e cioè che il santuario era un elemento di coesione per il popolo ebraico. Finché esisteva il santuario, gli Ebrei avrebbero continuato ad aspirare all'indipendenza.
La maggior parte della popolazione viene deportata, mentre viene lasciata nel paese la parte più povera. Succede che Nabucodonosor, che non era un cretino e pare che non fosse particolarmente selvaggio, dà l'incarico di governatore di quella provincia del suo impero a un ebreo, un tale di nome Gedalià, un filo-babilonese, che però vantava delle ascendenze davidiche. Così era dalla parte dei padroni, ma poteva essere accettato dalla popolazione perché aveva sangue davidico. Ma è successo quello che non doveva succedere, cioè che questo resto di popolazione, gente che aveva perso tutto - re, santuario, stato - comincia a litigare sul fatto che questo Gedalià avesse o no diritto di governare, perché se lui era di stirpe davidica, c'era comunque fra i rimasti, qualcuno di sangue ancora più puro del suo. Così nasce all'interno delle rovine di Gerusalemme, una congiura; Gedalià viene avvisato, ma non ci crede, perché non capisce quale potere possano voler portargli via, visto che non ha nessun potere. Invece questo certo Ishmaèl, suo parente, lo invita a una manifestazione e lì lo fa fuori. A questo punto Nabucodonosor, visto che gli Ebrei da soli non sanno governarsi, dà ordine di deportare tutti i rimasti. Gerusalemme finisce, Giuda finisce.
Ma col sorgere dell'impero persiano, Babilonia crolla e Ciro, il re di Persia, che ha tutta un'altra visione delle cose, concede ai deportati di tornare nella loro terra per rifondare il loro stato e ricostruire il tempio. Lui vuole lasciare la massima autonomia agli Ebrei e a tutti gli altri stati a lui sottomessi, da tutti i punti di vista: religiosa, politica, ecc.
  Torniamo a Geremia. Sembra che, quando Gerusalemme fu distrutta, una parte di Ebrei, per non esser deportati in Babilonia, siano scappati verso l'Egitto, certi di trovarvi rifugio. Pare che anche Geremia sia stato trascinato a forza in Egitto, come una garanzia per quei fuggiaschi. Non sappiamo se Geremia è morto in Egitto, o lungo la strada o se sia stato ucciso, proprio perché non voleva andare in Egitto.
Questa è la tragica storia di un profeta, non ascoltato, ma le cui idee si sono rivelate giuste.
A Geremia è attribuito anche il libro biblico delle Lamentazioni, nelle quali lui descrive la distruzione di Gerusalemme.
Ancora una notazione di carattere biografico, tornando agli inizi della guerra, quando, benché Gerusalemme fosse assediata, si pensava sempre che arrivassero gli Egiziani a salvare Israele da un momento all'altro, mentre non arrivarono mai. Lo stesso libro di Geremia racconta che il profeta, mentre si trovava in prigione, fece mettere per iscritto le sue profezie al suo fedelissimo segretario, Barùch che le portò al re, perché le leggesse. Il re le lesse, ma i suoi funzionari le distrussero; perciò venne fatta una seconda stesura delle profezie. Ciò significa che il libro di Geremia, che leggiamo oggi, corrisponde alla seconda stesura delle profezie.
Il mio punto di vista personale sull'attualità di Geremia è che la situazione descritta dal libro biblico è la stessa, che riguarda tutti i paesi del mondo, in particolare Israele. Non bisogna contare sugli aiuti esterni. Nell'attuale conflitto palestinese-israeliano io vedo come una delle cause determinanti il fatto che le due parti contano su un intervento esterno: Israele pensa che ha l'America alle sue spalle, che lo aiuterà; i Palestinesi hanno il Vaticano, non so bene perché, i paesi europei, non so bene perché, gli Stati Arabi, non so bene perché, ma a nessuno gliene importa un bel niente dei poveri palestinesi e, stringi stringi, nemmeno all'America gliene importa di Israele. Quindi la mia soluzione sarebbe quella di liquidare tutti, farli tornare ognuno a casa loro e dire: "Ce la vediamo noi". Mai contare sugli aiuti esterni, perché non ci sono mai e quando ci sono, sono finalizzati ad altre cose. Non c'è mai nessuno che si è mosso per salvare l'indipendenza di altri. Questa è la mia idea discutibilissima, ma mi sembra che il libro di Geremia possa offrire anche questa chiave interpretativa; questo è il messaggio che leggo io in questo libro. Ma adesso mi fermo, se no mi cacciate via.




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