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Il sacrificio di Isacco (Genesi 22)
(Rav Luciano Meir Caro)


Il cap. 22 del libro della Genesi, nella tradizione ebraica, viene chiamato "la legatura di Isacco", perché si parla di  Isacco legato da suo  padre all'altare. Sapete, dal racconto biblico, che il ragazzo stava per essere sacrificato e poi  la cosa non è stata portata a termine.
E' un capitolo che io vi raccomando, indipendentemente dagli aspetti e dal significato; a mio avviso è una delle pagine più belle dal punto di vista letterario, anche perché piena di suspense e di effetti drammatici.
Vi spiego quanto sono in condizione di darvi dal punto di vista dell'ottica e dell'interpretazione che è stata data nel corso dei secoli dai maestri della nostra tradizione su questo passo, che assume un'importanza molto notevole.
Nella liturgia ebraica questo  brano  fa  parte  integrante  della  preghiera  di  Capodanno  e  del giorno del  Kippur, ma anche della liturgia quotidiana.
Un   maestro   sostiene   che   quando   leggiamo   questo   passo   sarebbe   opportuno   versare delle lacrime e pensare intensamente qual è il significato profondo. Un altro maestro ci dice che l'episodio è definito "l'unico capitale vero del popolo ebraico", è la pagina di maggior merito che il popolo ebraico può presentare nei suoi rapporti con l'Eterno.
Un detto comune dice: "Le azioni dei padri sono un segnale per i figli"; per padri intendiamo i Patriarchi e i protagonisti delle storie bibliche. Noi dobbiamo vedere in queste storie non soltanto una evocazione di fatti avvenuti, ma sopratutto una traccia per quanto avverrà successivamente ai figli. Cioè è contenuta in questa narrazione la storia successiva del popolo ebraico.
Questa richiesta di Dio ad Abramo di sacrificare il figlio, secondo la tradizione era la decima delle prove alle quali fu sottoposto il nostro Patriarca; questa era la più drammatica.
Prima di entrare nel vivo del racconto, ancora due parole sui tre patriarchi, i pilastri, Abramo, Isacco, Giacobbe. Su Abramo e Giacobbe il testo biblico ci dice un sacco di cose, su Isacco, invece, noi sappiamo poco. Questo signore compare poco, è un eroe molto spesso in negativo, nel senso che sappiamo poco di lui e quelle poche cose che sappiamo non sempre ci piacciono. Mi  riferisco soprattutto agli ultimi anni della vita di Isacco (cf. Gen. cap.27).   L'uscita di scena di questo patriarca non ci piace: pensa solo a mangiare, benedice uno invece dell'altro, è molto superficiale.
In quella occasione si sottolinea che l'episodio dello scambio dei figli al momento della benedizione è avvenuto perché la sua vista si era indebolita. E i maestri si domandano: perché si era indebolita ? E' significativo il fatto che la sua vista si fosse indebolita, e qualcuno la mette in relazione al nostro passo, perché la debolezza sull'acutezza visiva di Isacco nella vecchiaia era in stretta relazione a quanto successe in gioventù in occasione di questo episodio con suo padre.
Quando noi leggiamo l'episodio sul sacrificio di Isacco, noi immaginiamo Abramo un signore anziano che parte con il proprio figlioletto per mano in questo viaggio verso la morte del figlio, quindi immaginiamo questo Isacco un pargoletto. Secondo i conteggi suggeriti dai nostri maestri, invece, questo pargoletto aveva 37 anni in quel momento, quindi si tratta di un padre che accompagna una persona adulta, consapevole, matura; questo particolare ci propone un'altra ottica di lettura del passo.
  Questo episodio nella tradizione ebraica ha un'importanza che può essere   paragonata a quella che ha la crocifissione nella tradizione cristiana. Questa è la carta che noi presentiamo a Dio ogni volta che ci sentiamo in debito ed è un qualcosa che ripetiamo tutti i giorni nelle nostre preghiere.
Inizio col suggerirvi qualche considerazione tratta dalla nostra tradizione. Il primo problema di ordine filosofico è questa faccenda di Dio che mette alla prova Abramo. Nella traduzione originale ebraica la parola "mise alla prova" non tutti sono d'accordo che si traduca così; qualcuno fa derivare questa parola da un'altra radice ebraica che può voler dire: "bandiera, vessillo, qualcosa che s'innalza". Infatti non suona tanto bene questa  faccenda di Dio che mette alla prova qualcuno. "Mettere alla prova" vuol dire, in parole semplici: "Vediamo cosa succede". Noi non possiamo immaginare un Dio che non sappia cosa succede. Quindi, se lo ha messo alla prova, vuol dire che non sapeva come avrebbe reagito, quindi non sapeva qual era il futuro! Se viceversa Dio lo sapeva, come noi pensiamo, che senso ha questa prova, cosa significa una prova così drammatica, piuttosto pesante, che si è protratta nel tempo? Non dimenticate che l'episodio è durato tre, se non quattro giorni.
Questa faccenda che Dio "mette alla prova" non convince tutti e suscita un vespaio di   problemi. Ovviamente ci sono delle risposte. Qualcuno dice che non è "mise alla prova Abramo", ma "fece una prova con Abramo". Cioè la prova, forse, non riguardava Abramo,   ma riguardava noi. Dio vuole che ognuno di noi sottoponga a prova se stesso, riferendosi a  quanto è avvenuto ad Abramo. Quindi per questi maestri l'invito della Sacra Scrittura è una specie di test che ognuno deve fare con se stesso.
Altri maestri dicono che vuol dire che "Dio fece una cosa meravigliosa", ecco il termine "vessillo, bandiera", una cosa, cioè, che si deve tenere in conto, così come una bandiera; è un simbolo. Quindi Dio fece un qualche cosa con Abramo che doveva restare come simbolo,  come punto di riferimento. Affinché le nazioni, i popoli, noi, ne teniamo conto per constatare fino a quale punto deve arrivare il timore di Dio.
Un'interpretazione di altri maestri, che a me piace molto è che l'episodio va inteso in un altro senso: Dio sapeva benissimo come Abramo avrebbe reagito, ma lo prova per aiutare Abramo a conoscere meglio se stesso e perché anche noi, attraverso di lui, potessimo fare una forte esperienza di Dio.
E che cosa dobbiamo imparare da un'esperienza così? Che quando noi tutti ci riempiamo la bocca di timor di Dio, di religiosità, facciamo di solito un discorso che è molto teorico. Non ci costa niente dire che noi riconosciamo l'esistenza di Dio, la sovranità di Dio, riconosciamo i suoi precetti. Ma quando questo discorso ci porta ad un qualcosa di pratico, allora tutti noi siamo propensi a trovarci delle giustificazioni. Quante volte sentiamo dire: "ma io sono pervaso da una profonda religiosità, ma è interna, sentimentale, affettiva, non guardate il mio comportamento! Il riconoscermi nel comportamento quotidiano, questo è un altro discorso, ma nel mio interno sono perfettamente consapevole dell'esistenza e della sovranità di Dio".
Quindi la prova consiste in questo: Abramo è colui che proclama al mondo per la prima volta l'esistenza di Dio, l'unità di Dio. Vediamo fino a che punto la sai portare questa prova!
Un proverbio che deriva dal libro dei Re dice: "Non si deve vantare colui che si cinge di armi come colui che si scioglie dalle armi". Cosa significa questo? Che quando ci accingiamo ad impugnare le armi, siamo tutti valorosi, siamo tutti degli eroi; se uno vuol vantarsi del suo coraggio, del suo eroismo, si vanti quando è finita la guerra. Questa sarebbe una delle chiavi di lettura.
Abramo predicava l'esistenza e la sovranità di Dio. Non basta predicarla, bisogna anche provarla su se stessi, per dimostrare fino a che punto si è disposti ad arrivare nella pratica; perché essere buoni, religiosi, eticamente a posto nel pensiero non conta niente; ci fa fare belle figure, ci fa fare delle ottime conferenze, ma il realizzare queste cose nella vita pratica è ben più difficile.
Anche quando il comando che gli viene da Dio era un qualche cosa di assurdo, Abramo non sta a discutere, va avanti; secondo alcuni maestri era perfettamente consapevole che qualcosa sarebbe successo e lo vediamo nel passo del cap.22, 5 quando Abramo disse ai suoi servi: "Fermatevi qui con l'asino; io e il ragazzo andremo fin lassù, ci prostreremo e poi ritorneremo da voi".
Quindi c'era dentro di lui una certa sicurezza che sarebbero tornati; io faccio la mia strada, poi qualcosa succede, Dio provvederà!
I maestri ci riportano un Midrash. Dice che mentre Abramo era per strada gli apparve Satana in forma di vecchio e gli chiese dove stava andando. Abramo lo liquidò dicendo che stava andando a pregare, ma Satana continua sottolineando cosa mai gli servisse il coltello e gli strumenti per un sacrificio. Abramo cercò delle scuse, ma il vecchio ribadì che sapeva dove stava andando ed alla sua età si doveva vergognare ad uccidere un figlio concessogli a 100 anni. Abramo gli rispose che Dio gli aveva dato quell'ordine; allora Satana soggiunse che quello stesso Dio che gli ha dato quest'ordine, domani dirà che è un assassino. Ma Abramo non ne volle sapere. A questo punto Satana sparisce e si trasforma in un grande fiume che si frappone nella strada di Abramo; quando Abramo si trova nel fiume e sta per affogare, allora si rivolge a Dio: "Mi hai detto di sacrificare mio figlio e ora come mai mi impedisci di realizzare un tuo comando?". A questo punto l'acqua si ritira e questi continua il suo cammino. Cosa c'insegna questo Midrash?
Satana è Abramo stesso, è l'istinto cattivo che c'è dentro ognuno di noi. In realtà ad Abramo non si è presentato nessun vecchio e non ha incontrato nessun fiume; ma in quei tre giorni quante volte Abramo avrà  pensato: "Ma sono proprio pazzo, questa è demenza  senile!". Ecco la spiegazione dei tre giorni di cammino; non è stato un qualcosa che Dio ha detto e lui ha fatto, ma gli ha dato tre giorni, in modo che Abramo avesse tutto il tempo di ripensarci.  Avrà avuto in  quei giorni dei momenti di dubbio; quindi non è stato un viaggio pacifico.  Oltre alle difficoltà interne che gli provenivano dal suo intimo, chissà quante scuse avrebbe avuto di tornare indietro per motivi di carattere tecnico: "C'è da guadare un fiume, c'è una forte salita... non me la sento, sono vecchio... avrei voluto ma non posso". Quanti di noi avrebbero cercato scuse di questo genere…
Ma Abramo continua, Abramo supera i suoi pensieri e le giustificazioni che lui poteva addurre per difficoltà di carattere oggettivo.
E non solo Abramo in questi tre giorni avrà avuto questo tipo di pensieri. Vi ricordate l'espressione del passo: "Abramo prese la legna dell'olocausto e la caricò sul figlio Isacco, prese in mano il fuoco e il coltello, poi proseguirono tutt'e due insieme.........ma dov'è l'agnello per l'olocausto? Abramo rispose: Dio stesso provvederà l'agnello per l'olocausto, figlio mio!...Proseguirono tutt'e due insieme". Questo sottolineare che procedevano insieme vuol farci capire che Isacco non era il bambinello che non sa dove sta andando, ma una persona adulta che segue suo padre con lo stesso tipo di pensiero, con gli stessi dubbi; chissà quante volte si sarà domandato: "Mio padre è rincretinito...", eppure continuava ad andare avanti.
C'è un'altro elemento nel brano dove ci si domanda perchè racconta i particolari. Abramo che stende il figlio sull'altare, lo lega ecc. Sarebbe stato più interessante sapere che cosa aveva detto Isacco in quel momento. O stava sempre zitto ? Il testo tace.
E' molto interessante questo studio sui cosiddetti silenzi della Bibbia. Pensate a Giuseppe quando è venduto dai fratelli; non dice una parola, eppure era famoso per essere un parlatore. Perché il testo non dice niente?
I maestri lo inventano e dicono: in realtà non c'era bisogno di legare Isacco, ma è stato lui a chiederlo, perché aveva paura di reagire.
A questo punto Abramo stese la mano, prese il coltello per scannare il figlio, ma un messo dal cielo lo fermò. Ci domandiamo: questo Dio, che è intervenuto personalmente per dare l'ordine di uccidere il figlio, quando si tratta di salvarlo manda un messaggero. I maestri si immaginano questo: Dio sapeva come sarebbe finita, ma gli Angeli sono rimasti scandalizzati da questa sofferenza e si sarebbero messi a piangere. Furono poi queste lacrime divine cadute negli occhi di Isaccc che gli causarono la cecità nella vecchiaia. A questo punto Dio, vista la commozione degli Angeli, avrebbe concesso a loro di portare a termine l'azione di andare a fermare tutto.
Ma chi sono questi Angeli ? I maestri dicono che ogni azione buona che l'uomo fa ha per conseguenza la creazione completa di un essere spirituale (un Angelo); cioè ogni azione si compone di tanti elementi e per ognuna delle parti di quest'azione viene creata una parte di un essere spirituale e quando 1' azione viene compiuta ci ritroviamo di fronte ad un essere spirituale completo. Per cui se fate una buona azione, ma quest'azione è mancante anche di un piccolo e insignificante particolare, il corrispettivo della cosa creata è un qualcosa d'incompleto. Quest'Angelo, che ha fermato il tutto, era quello che era stato creato in conseguenza dell'azione della legatura di Isacco.
Dicono i maestri: nessuna azione umana, buona o non buona, è irrilevante, persino la più insignificante; qualunque pensiero, anche il più sciocco, ha delle conseguenze cosmiche. Quindi nessuno sa qual è la conseguenza del proprio agire; niente di quanto l'uomo fa è  una cosa inutile. Tutto può corrispondere per la salvezza o la fine dell'universo. Perciò  facciamo bene attenzione a come ci comportiamo.
In questo caso, l'avere legato Isacco come si doveva, è stata probabilmente l'azione che gli ha preparato la salvezza; forse, se non lo avesse legato bene, avrebbe dovuto ammazzarlo.
Qualcuno vede l'insegnamento di questo passo in un' altra ottica. Noi sappiamo che il  testo biblico era rivolto originariamente a delle persone molto ingenue e con il suo   insegnamento voleva sradicare dall'uomo determinate idee sbagliate.
Ci  si  domanda come mai la Genesi nel raccontarci la creazione del mondo, non è in accordo con quello che oggi la scienza ci dice. Ed è proprio vero che Dio ha creato il mondo in quel modo? La funzione specifica del primo capitolo della Genesi è quella di insegnarci che  esiste un Dio Unico e le varie forze della natura non devono essere considerate una divinità, come pensavano gli antichi.
Lo stesso vale per questo capitolo 22, che insegnava in modo plastico, drammatico qualcosa
che per gli antichi era comune. Infatti per la gente della terra di Canaan i sacrifici umani erano una cosa che non scandalizzava nessuno e facevano parte di un patrimonio culturale  comunemente  accettato.  Si riteneva che  gli dei fossero gelosi dell'uomo e poiché il bene più prezioso che ha l'uomo sono i figli, quando si voleva placare in qualche modo gli dei, bisognava offrirgli quanto di meglio si aveva.  
Viene il testo biblico e insegna, non mediante una conferenza o un discorso del tipo: "Non sacrificate i figli: è un assassinio, Dio non lo gradisce!", ma proprio attraverso un racconto. All'inizio l'uomo pensa che sacrificare un figlio sia una cosa gradita a Dio, ma alla fine Dio gli fa capire che quello che vuole è l'obbedienza.
Il particolare dell'offerta del montone al posto di Isacco sta ad indicare che il sacrificio di animali era ancora accettato, perché la negazione anche di quella forma di sacrif
icio non sarebbe stata proprio recepita dalle culture di quei tempi.

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