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Il matrimonio nella tradizione ebraica
(Rav Luciano Meìr Caro)


Possiamo esaminare questa tematica da varie angolature, a cominciare da come è visto il matrimonio nel testo biblico, nella Torah in particolare e poi vedere la letteratura ebraica post-biblica, in particolare quella talmudica e poi considerare come la cosa si è evoluta nel corso dei tempi e infine alcune problematiche presenti ancor oggi. Secondo la normativa ebraica, ad es. il divorzio può essere celebrato soltanto se la richiesta viene fatta esplicitamente da parte del marito, per cui la moglie è messa nella situazione di dover subire il tutto.
Mi riferisco anzitutto al bel titolo dato a questa serata, tratto dal libro della Genesi: "Non è cosa buona che l'uomo stia da solo" (Gen 2, 18); sembra quasi che Dio si sia accorto, terminata l'opera della creazione, che non tutto era perfettamente a posto, perché appunto non era cosa buona che l'uomo fosse solo e perciò crea la donna, per ovviare all'errore primigenio. Lo dico in forma un po' scherzosa, però il testo è molto difficile e, se volessimo penetrarlo, ci troveremmo davanti a difficoltà notevoli. Sapete che c'è una discrepanza, forse apparente, forse reale, tra il primo e il secondo capitolo della Genesi; nel primo capitolo sembra che l'uomo sia stato creato come un'unità, sembra quasi un ermafrodita, cioè un unico essere che contenesse i due sessi; nel secondo capitolo, invece, ci viene raccontato che Dio ha creato l'uomo e solo successivamente la donna, prelevando una costola dall'uomo. La cosa su cui vorrei attirare la vostra attenzione molto rapidamente è il fatto che Dio dica: Lo tov , "Non è cosa buona che l'uomo sia da solo" e perciò gli creò un aiuto kenegdò - , che gli sta davanti; quindi la definizione della donna è "un aiuto che gli sta davanti", perché senza questo aiuto c'è un qualcosa nell'essere umano che non è buono. E' evidente che c'è un messaggio in questo passo che noi non riusciamo a percepire bene. Vi faccio solo notare un particolare e cioè che questa espressione è sicuramente in relazione al primo capitolo della Genesi, là dove si parla della creazione in generale. Voi ricordate che la creazione ci viene proposta sotto forma di sette paragrafi, in ognuno dei quali viene descritto un elemento creato da Dio, prima la luce, poi tante belle cose e infine l'uomo. Per ognuna di queste belle cose, il testo dice che Dio "vide che era cosa buona". E' importante che noi impariamo a focalizzare il significato di alcune parole chiave che ritornano nel testo biblico; a mio avviso, una di esse è proprio "buono". Scorrendo il testo non ce ne accorgiamo neanche, ma cosa vuol dire, ad es. che Dio crea la luce e poi vide che era cosa buona? E' quasi come se Dio crea qualche cosa senza sapere come sarebbe andata a finire; se non era una cosa buona, cosa faceva, la buttava via? Si umanizza questo Dio, no? Solo dopo aver creato questa cosa, si accorge che è buona e allora la conserva. E sempre questo ritornello, salvo quando crea l'uomo; lì non dice che era cosa buona. O si è dimenticato di dirlo, oppure non ha visto che era buono. Successivamente constata, però, che non è cosa buona che l'uomo sia da solo e che ci vuole un aiuto che gli sta di fronte. Cosa vuol dire? Non lo so, ma si può interpretare almeno in due modi: o un aiuto che gli sia presente, che è con lui o un aiuto che gli sta di fronte in senso di opposizione. Non credo che voglia dire questo, non lo so. Questo tov, comunque, ritorna alla fine della creazione, dove si dice che il tutto era molto buono: tov meod. Cosa vuol dire molto buono agli occhi di Dio? Saremmo tentati di ragionare in questo modo: per Dio una cosa o è buona o non è buona. Inoltre noi traduciamo buono, ma tov potrebbe voler dire: "bello, simpatico, opportuno, utile". Per confondervi ancora le idee, non dimenticatevi che c'è sempre questo filo trasversale nell'interpretazione biblica; vi ricordate quando nel secondo capitolo dell'Esodo si parla della nascita di Mosè? Anche lì si dice che la madre di questo bambino, dopo averlo partorito, "lo vide che era buono e lo nasconde per tre mesi". Se leggiamo il testo così, sembra che lei l'abbia sottratto alla persecuzione perché era buono. Ma cosa vuol dire? Qual è quella madre che, quando le nasce un bambino, dice che non è buono? Buono vuol dire che non piangeva, che era bello, sano? E che cosa ci vuole insegnare quel passo? Sembra quasi che se il bambino non era buono, lei l'avrebbe buttato nel Nilo o denunciato alla polizia. Guardate l'espressione: "lo vide che era buono"; la stessa espressione attribuita a Dio nella creazione. Noi non sempre siamo in grado di percepire i messaggi di queste espressioni così piene di mistero che attraversano tutta la Scrittura.
Comunque la donna è un aiuto dato all'uomo per far diventare più buona la sua vita. In tutta la nostra tradizione si dice che la nostra vera vita si consegue attraverso la vita matrimoniale, sposandosi, avendo dei figli e così via. I maestri del Talmud dicono che un essere umano che non sia sposato, non è completo, manca di qualcosa, è considerato solo un mezzo essere umano.
Vi faccio un'altra divagazione. C'è un altro passo del testo biblico spaventosamente difficile, là dove si parla del tabernacolo che gli Ebrei dovettero costruire nel deserto, una struttura smontabile e portatile, costruita attorno a una cassetta nella quale dovevano essere contenute le tavole dei comandamenti; sopra questa cassetta c'era un coperchio e su di esso due cherubini. Sembra che ci sia data l'indicazione di due figure umane con delle ali, che si guardano l'una con l'altra. Anche questo sembra un paradosso, perché il Dio che ci proibisce di fare immagini, proprio nel punto più sacro, dove ci sono le tavole dateci direttamente da Dio, lì ci sono due figure umane che si guardano. I nostri interpreti impazziscono per capire di che cosa si tratti; in ebraico il termine cherubini lascia un po' a desiderare. Una delle interpretazioni suggerite è che qui si stia parlando della vita di coppia, cioè il succo della norma che Dio ci ha dato è che ci siano due esseri umani che si guardano, quasi in relazione col passo di Genesi: "Farò all'uomo un aiuto che gli stia davanti". Così sarebbe questa relazione di coppia, dialogica, il modo perfetto per realizzare la norma dataci da Dio.
Nella nostra tradizione il tempo del matrimonio viene sollecitato al più presto possibile; si dice che l'età giusta per l'uomo sia di 18 anni e per la donna anche molto prima.
Voglio aprire una piccola finestra su come era visto il matrimonio ai tempi della Bibbia. La Bibbia non entra in questi dettagli e poi bisogna tener conto che il testo ha un atteggiamento triplice di fronte alla realtà che ci sta attorno. Quando il Padre eterno ha dato la Legge al popolo ebraico, non l'ha data in una tabula rasa, ma c'era già un ambiente dove esistevano tradizioni, norme, ecc. L'atteggiamento del testo biblico nei confronti dell'ambiente circostante è questo: se una cosa va bene così, la lascio così  e questo è il caso del matrimonio, perché ancora prima che Dio si rivelasse, la gente si sposava e quindi il testo biblico non entra in questi dettagli. Se una cosa è sbagliata, invece, viene proibita in modo assoluto e in forma molto drastica, qualche volta comminando addirittura la pena di morte, come nel caso dell'idolatria, dei sacrifici umani. Per altre cose la Torah viene a modificare alcuni aspetti; un esempio classico è quello del divorzio. La gente divorziava anche allora, ma la Torah entra nell'argomento solo per determinati aspetti. La stessa cosa avviene per il matrimonio, cioè non ci viene spiegato come si faceva a sposarsi, ma abbiamo delle connotazioni marginali. Se studiate la storia dei patriarchi, si può constatare che  nell'ambiente semitico il matrimonio avveniva con un certo rispetto nei confronti della parte femminile. Tutte le volte che si deve sposare una figlia, ad es., viene sempre chiesto il suo parere; può sembrare una cosa ovvia per noi, ma avveniva che il matrimonio era di solito combinato dai genitori, però l'ultima parola la diceva, in pratica, la ragazza. Alla vigilia del matrimonio le si chiedeva se la scelta era di suo gradimento e se diceva sì, si andava avanti, altrimenti no. Era una società maschilista, dove appaiono anche figure un po' strane, tipo concubine o schiave. Quando, ad es., una donna non riusciva ad avere figli, allora prendeva una sua schiava e la dava al marito, perché avesse figli da lei e siccome gli schiavi sono un possesso personale, l'idea era quella che anche l'eventuale figlio della schiava era della padrona, perché la schiava non ha personalità a sé.
Il testo biblico ci fa vedere che poi non era tutto così semplice, perché nasceva gelosia e odio.
Quello che impariamo dal testo biblico a proposito del matrimonio è che vengono stabiliti in modo chiaro i diritti della donna e questo è importantissimo, considerando l'ambiente e la società maschilista di allora, in cui la donna era considerata una specie di oggetto. Questo è vero, nonostante la possibilità, per il marito, di sposare quante donne voleva. Però rimaneva il dovere per l'uomo di non scendere sotto un certo standard per quanto attiene al mantenimento fisico delle mogli, il mangiare, gli abiti, la casa e la coabitazione in senso sessuale. La donna è titolare di diritti per quanto riguarda l'unione sessuale. Ci sarà poi una dottrina successiva che spiegherà meglio i doveri del marito riguardo ad ognuno di questi tre elementi. Cosa vuol dire vestiti, ad esempio? Io devo vestire mia moglie, ma quando ottempero a questo dovere o quando rimango sotto? E cosa vuol dire cibo e coabitazione in senso sessuale, cioè lei di quanti rapporti sessuali è titolare e quand'è che io vengo meno? Tutto questo è dettagliatamente descritto nella normativa, che fa riferimento non tanto all'età dell'individuo, ma alla professione che egli svolge; a seconda di essa egli dovrà rispondere ai doveri nei confronti della moglie entro determinati periodi dell'anno, del mese, della settimana.
Un altro elemento importante riguarda il caso di violenza portata a una ragazza da sposare. In quella società una ragazza violentata perdeva tutto; chi avrebbe sposato una ragazza così? La pena per chi fa ciò è una multa da pagare al padre della ragazza, con l'obbligo per il violentatore di sposarla e non ha il diritto di divorziare da lei. La stessa cosa viene detta a proposito della prigioniera di guerra. Siamo nel libro del Deuteronomio, che dice che, se fra i prigionieri di guerra, un uomo vede una donna che gli piace, se la deve portare a casa e tenerla per un mese, lasciandole la massima libertà di piangere la sua situazione e i parenti morti e permetterle di stare poco curata. Dopo questo mese, se lei è consenziente, la può sposare, ma non potrà divorziare da lei, e nemmeno per sogno potrà farsi venire in mente di rivenderla.
Nella visione ebraica delle cose, il matrimonio è considerato straordinariamente importante, ma non è mai considerato un sacramento. Io non ho le idee molto chiare su che cosa sia un sacramento, ma per noi il matrimonio è un'unione sollecitata, raccomandata, gestita, disciplinata dalla legge, ma non è un sacramento, tant'è vero che, salvo i casi che vi ho detto, può essere sciolto.
Quando il testo biblico parla dei nostri eroi nazionali, all'inizio appaiono sempre come monogami; è stata una degenerazione successiva quella di avere tante mogli. Adamo, Abramo ha sposato una sola moglie e poi ha preso una concubina, ma su iniziativa della moglie Sara, perché era sterile; la stessa cosa riguarda Isacco, Giacobbe e Mosè, anche se qui ci sono alcune cose non molto chiare.
Per quanto riguarda il re, il detentore del potere politico, la legge aggiunge alcuni obblighi in più, fra cui quello di non prendere troppe mogli, perché avere troppe mogli significa perder la testa. Cosa significhi l'espressione "troppe mogli" non è ben definito. I nostri maestri, un po' sorridendo, dicono che per qualcuno una è già troppa; ma qualcuno dice che forse troppe vuol dire più di sei. Riferendosi a un passo che riguarda il re Davide, qualcuno dice che lui ne aveva 18 e perciò troppe mogli per un re significa dalla diciannovesima in poi.
Non dimenticate che spesso nel mondo antico i matrimoni non erano frutto tanto di amore, simpatia, ecc, ma avevano spesso scopi politici e quando due sovrani volevano fare un accordo, lo suggellavano attraverso un matrimonio tra le famiglie reali. Anche Salomone, il più grande e il più saggio dei re, secondo la nostra tradizione, si trovò in contrasto col re d'Egitto a causa di una certa enclave territoriale che gli Egiziani avevano in Israele e allora, vedendo che la guerra non gli conveniva, ha mandato un'ambasceria nella capitale egiziana chiedendo di sposare la figlia del faraone, che egli avrebbe presa con la dote, che doveva consistere appunto in quel pezzo di terra; sembra che il faraone non abbia potuto dir di no per motivi di politica internazionale.
Un'altra cosa che risulta dal testo biblico è che implicitamente si impara che quando si faceva un matrimonio i festeggiamenti duravano una settimana completa, giorno e notte. Inoltre se un tale sposa una donna nuova, cioè la prima volta che lui la sposa, viene esentato dal servizio militare per un anno, perché il suo compito è di rallegrare la sposa che si è preso; le modalità non ci vengono dette, ma possiamo immaginarle. Per questo dice nuova, per evitare che uno, per sottrarsi al servizio militare, divorzia e risposa la stessa moglie molte volte.
Credo di avervi detto le cose più importanti che scaturiscono dal testo biblico, perciò vediamo adesso come è stata codificata la normativa in seguito. Vi dico subito che, a partire dall'anno mille, gli Ebrei, per una decisione autonoma interna, hanno deciso di modificare la legislazione precedente ed è stata emessa una disposizione, accettata da tutti, che vieta la poligamia. Probabilmente hanno codificato una situazione già esistente. Questo riguarda la grande maggioranza degli Ebrei, perché questa norma non è stata riconosciuta dagli Ebrei che dimoravano in certi paesi arabi, soprattutto nello Yemen, dove, fino al 1948 era praticata allegramente la poligamia.
Torniamo un pochino indietro per occuparci di come l'ebraismo talmudico ha codificato tutte queste norme. Intanto, la celebrazione del matrimonio. In relazione alle tradizioni tramandate e ad altri elementi, i nostri maestri hanno codificato una serie di modalità ancora in atto.
Per celebrare il matrimonio è importante che ci siano un uomo e una donna, liberi da vincoli matrimoniali o da divieti, che abbiano una certa età. Occorrono dei testimoni, che hanno una posizione eccezionalmente importante, come in tutto il diritto ebraico; per testimoni si intende persone adulte, degne di fede, oneste, che non siano amici, nemici, parenti né tra di loro, né nei confronti dei due sposi.
Il matrimonio avviene con tre modalità. La prima è quella attuata anche oggi. Un uomo prende un oggetto che abbia un determinato valore economico; oggi di solito si prende un anello di metallo prezioso che abbia una sua valutazione di mercato. Bene, prende questo oggetto e lo dà alla fidanzata pronunciando questa formula: "Io ti do questo oggetto allo scopo di sposarti" e la cosa deve avvenire di fronte a due  testimoni, che assistono alla cosa e devono constatare che è avvenuta la manifestazione di intenzione da parte dell'uomo, che la donna ha capito ciò che lui le stava dicendo e ha preso l'oggetto. Allora da quel momento i due sono marito e moglie, indipendentemente da quel che succede dopo; non esiste il concetto di matrimonio non consumato. La figura del rabbino, che è sempre presente, ha la funzione di accertarsi che tutto avvenga secondo le norme; teoricamente, però, se venissero due testimoni da un rabbino e dicessero che hanno assistito a un matrimonio secondo questa forma, pur senza la presenza del rabbino, il matrimonio è valido lo stesso a tutti gli effetti.
La seconda forma è così: quando il fidanzato, sempre di fronte ai testimoni, si rivolge alla fidanzata e, invece di un oggetto le dà uno scritto, che dice: "Io, sig. Tal dei tali, con questo pezzo di carta intendo sposare te, Signora Tal dei tali"; se lei prende lo scritto, lo legge, lo capisce e se lo tiene, allora i due sono marito e moglie. E' una forma simile all'altra, ma è stata concepita per chi magari non è in condizione di procurarsi un oggetto di valore.
La terza modalità, che non è consigliata, ma che a mio avviso ha un grande significato, è questa: le due persone che vogliono sposarsi, sempre alla presenza dei testimoni e nelle condizioni richieste dalla legge, manifestano la loro volontà attraverso un atto, cioè si appartano in una stanza chiusa e dicono ai due testimoni: "Noi ci chiudiamo in quella stanza allo scopo di consumare un atto matrimoniale, un atto sessuale, perché abbiamo intenzione di sposarci". Se i due stanno nella stanza un tempo ragionevole (che non so cosa sia), quando escono i testimoni dicono: "Abbiamo accolto questa manifestazione di volontà, accompagnata da un'azione", allora i due sono marito e moglie, indipendentemente da quello che hanno fanno nella stanza e se poi risulta che lei è vergine, che lui non era in condizione di avere un rapporto, ecc; tutto è assolutamente irrilevante. Da dove nasce questa cosa? Sembra un po' ridicolo, ma nasce da un concetto molto antico. A proposito del rapporto sessuale tra uomo e donna, c'era, nel mondo antico semitico, un atteggiamento molto diverso da quello del nostro mondo. Credo di poter dire che oggi i rapporti sessuali sono considerati un qualcosa di molto leggero, invece nel mondo antico si pensava che se due hanno voglia di far l'amore insieme, fino a prova contraria, vuol dire che vogliono istituire un rapporto permanente e accettare tutto quello che questo comporta.
Oggi, comunque, la modalità più diffusa è quella dell'anello, perché c'è tutta la coreografia, col rabbino che canta la benedizione, i canti, i balli, ecc.
Successivamente i nostri maestri hanno inventato un documento, che va sotto il nome di ketubbà, che significa "cosa scritta", e che ha la funzione di tutelare economicamente la figura della donna. Nessun rabbino oggi procede a fare un matrimonio, se immediatamente prima del matrimonio il marito non sottoscrive questo documento, in cui è scritto, con una formula burocratica, che nel giorno tale, il signor tale ha deciso di sposare la signora tale. Contestualmente a questo impegno di sposarsi, il marito si impegna giuridicamente ad alcune cose e cioè il fornire la moglie di alimenti, casa, vestiti, rapporti matrimoniali e poi deve scrivere ancora nel documento che mette a disposizione della moglie una somma di denaro, nel caso in cui il marito muoia prima di lei o nel caso di divorzio. La normativa ebraica sostiene che quando un tale muore, il suo patrimonio passa direttamente ai propri figli maschi, che se lo dividono in parti uguali, eccetto il primogenito al quale spettano due parti. Così né le femmine né la moglie ricevono nulla, salvo che i figli maschi hanno comunque, anche se non c'è stata nessuna eredità, il dovere di provvedere alla madre e alle sorelle, almeno fino a quando queste non si sposano. Allora non volendo che la donna rimasta senza marito sia alla mercé dei propri figli maschi, si sottoscrive questo documento che assicuri alla moglie la cifra a lei destinata dal marito. La stessa cosa avviene anche in occasione del divorzio; il marito deve subito mostrare la ketubbà al rabbino, che solo dopo procederà alle altre pratiche.
Nelle ketubbòt moderne si scrivono anche altri accordi particolari che gli sposi decidono di prendere, ad es. cosa succede ai beni che la moglie possiede. Lei può decidere di tenersi il suo capitale separato e gestirlo come vuole; ma, notate bene, anche se la moglie è ricchissima e il marito non ha niente, secondo la legge ebraica lui deve comunque mantenerla. Oppure la donna può decidere di mettere il suo capitale a disposizione della famiglia, lasciando che sia il marito a gestirlo, il quale, però, in qualunque momento deve essere in grado di restituire alla moglie il capitale che lei aveva; lei può anche decidere di dividere il capitale come vuole.
Un'altra possibilità è che la donna metta a disposizione del marito il capitale con la clausola che guadagni e perdite saranno divisi in parti uguali. Tutto questo va scritto, altrimenti la moglie ha diritto a tenersi il suo patrimonio separato. Implicitamente, quando facciamo sottoscrivere al marito la ketubbà un istante prima del matrimonio, gli viene spiegato che ci sono degli altri doveri che lui si assume, che non sono scritti, ma che fanno parte della tradizione codificata. Doveri che sono questi: egli si assume l'obbligo di provvedere alla dignitosa sepoltura di sua moglie, in caso che muoia e il tribunale può intervenire per costringerlo. I funerali saranno in relazione con la ricchezza del marito, ma non devono mai essere al di sotto di un certo standard, perciò se lui non ha i soldi, andrà a chiedere la carità. Analogamente il marito è tenuto a riscattare la moglie in caso di rapimento.
La ketubbà è riconosciuta valida in molti paesi, perciò il marito poi non può tirarsi indietro, magari con la scusa che quella era solo la legge ebraica. Il foglio su cui si stende la ketubbà può essere anche solo semplicemente dattiloscritto, ma oggi è tradizione che si usi una bella pergamena, scritta a mano da qualche celebre copista con bella calligrafia, che poi viene appesa in casa come ornamento. Le ketubbòt di qualche secolo fa sono dei documenti molto importanti dal punto di vista bibliografico, perché sono illustrate e decorate e c'è tutto un mercato fiorente; si arriva come niente a 80-90  milioni.
Una tradizione importante è che, nel momento del matrimonio, quando il marito consegna alla sua signora o l'anello o l'oggetto prezioso, deve consegnare anche la ketubbà firmata; e siccome questa è una forma di cambiale, la prima cosa che la moglie fa è di prenderla e sottrarla al marito. Cioè non la tiene in casa, ma di solito la dà alla madre, che la tiene in casa, per evitare che il marito la faccia sparire, perché se il marito muore prima di lei, o in caso di divorzio, se il documento non c'è, la moglie non ha diritto a niente. Comunque anche in questo caso la moglie sarebbe tutelata nel senso che, anche se il matrimonio avviene con un poveraccio, la cifra che lui scrive sulla ketubbà deve corrispondere al reale, cioè lui deve averla, anzi a volte gli viene chiesto di depositarla da qualche parte e non può toccarla, perché non è sua. La cifra da dare alla moglie non può mai scendere al di sotto di un certo standard, che viene stabilito di anno in anno dal rabbinato centrale di Israele o da quello mondiale. Addirittura il documento dice che il marito deve vendersi il vestito che ha per poter fornire alla moglie la cifra minima.
Secondo la tradizione ebraica nel matrimonio è un impegno da parte del marito avere dei figli, ma non è un impegno per la moglie e questo obbligo prevede un minimo di due figli, però a condizione che siano un maschio e una femmina, perché noi dobbiamo lasciare questo mondo, quando passeremo all'altra vita, in una situazione che non sia peggiore di come l'abbiamo trovato. La donna non ha questo obbligo, forse perché, dal nostro punto di vista, all'uomo bisogna imporre qualche cosa; forse, se non ci fosse questa imposizione, l'uomo non avrebbe figli. Per la donna non c'è bisogno, perché fa già parte della sua natura il desiderio di avere figli e non ha bisogno di una normativa che glielo imponga.
Per il caso di adulterio il testo biblico prevede la lapidazione per i due partner. Ovviamente ai tempi della Bibbia per adulterio si intendeva il rapporto di un uomo con una donna sposata. E poi bisogna fare attenzione alla punizione, perché, qualsiasi essa fosse, anche la lapidazione, non poteva essere data se non con la testimonianza dei testimoni, secondo quelle caratteristiche precise di cui ho parlato prima; ma la testimonianza da sola non basta. Non è sufficiente che dicano: "Li  abbiamo visti a letto insieme", ma bisogna che gli stessi testimoni attestino queste cose: "Abbiamo visto questi due che stavano per compiere questa cosa; li abbiamo avvertiti della nostra presenza e quelli hanno continuato"; quindi la semplice attestazione della cosa avvenuta non basta, se non c'è stato l'avvertimento. E non basta ancora, perché i due testimoni - sempre importantissimi nel diritto ebraico - devono poi essere disponibili a fungere da esecutori nella punizione; hanno visto quella cosa, il tribunale ha comminato la pena di morte e loro la devono realizzare. Un'altra cosa importante: ove si constatasse con certezza che i testimoni hanno detto il falso, si applica ai testimoni stessi la pena che sarebbe stata applicata ai soggetti, ove la loro testimonianza fosse stata riconosciuta veritiera. Quindi fare il testimone è un dovere, ma è anche molto impegnativo. Questo nel mondo antico. Oggi la pena di morte non esiste più nella legislazione ebraica, perché non esiste neanche un'autorità competente a comminare punizioni di carattere penale di nessun genere, quindi se due sono adulteri, pace all'anima loro. Non abbiamo la possibilità di intervenire giuridicamente.
Dal punto di vista ebraico il matrimonio misto non esiste, nel senso che noi riconosciamo legali soltanto quelle unioni che avvengono secondo le norme che vi ho detto. Se uno dei due sposi non è ebreo, allora il matrimonio avverrà solo dal punto di vista civile, al di fuori della normativa ebraica, quindi ebraicamente non risultano sposati.
Quando due ebrei vogliono sposarsi possono scegliere di fare o solo un matrimonio ebraico, quindi la loro posizione viene riconosciuta solo dalla normativa ebraica e non dalle altre, o un matrimonio religioso con effetti civili, cioè il rabbino funge anche da funzionario dello stato civile e manda la documentazione al comune. Sono gli sposi a scegliere.












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