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I Nomi di Dio
(Rav Luciano Caro)


Questa sera dovremo concentrare la nostra attenzione su quelle che sono le denominazioni con le quali Dio è chiamato nella Bibbia. Il mio timore deriva dal fatto che, parlando di questo argomento, veniamo in qualche modo a compiere un'azione che rasenta la blasfemia, nel senso che, quando parliamo del nome di Dio, tendiamo inconsapevolmente a portarlo al nostro pari e quindi ad attribuirgli delle capacità, delle facoltà, dei requisiti che non sono divini.
L'argomento è molto ampio, ma desidero partire col dirvi che il nome personale di Dio, se così posso dire, è: IOD-HE-WAW-HE,  quel famoso nome costituito da quattro lettere dell'alfabeto ebraico detto tetragramma. Impronunciabile, perché da tempi antichissimi gli ebrei hanno deciso di dimenticare quale sia la vera pronuncia, per ovviare alla possibilità anche recondita, di nominare il nome di Dio invano; noi conosciamo il suo nome nella forma scritta ma non sappiamo assolutamente quale sia la pronuncia.
Debbo aprire una piccola parentesi: un po' dappertutto, anche nel nostro ambiente, ma soprattutto nell'antico ambiente semitico, il nome era considerato un elemento costitutivo la cosa, la realtà, la persona stessa, specificandone gli attributi.
Se la cosa è riferita a Dio quindi, questo nome deve configurare, - ecco ancora una parola blasfema -, quello che è o potrebbe essere Dio, perlomeno come lo intendiamo noi.
I  tentativi che sono stati fatti nel corso degli anni con l'obiettivo di scoprire la vera pronuncia di questo nome, sono falliti, in quanto sicuramente non è stata trovata la pronuncia giusta del nome di Dio, provocando così una forma di offesa alla divinità.
Forse il modo migliore per indicare Dio è proprio questo termine italiano molto generico: "Dio, divinità", oppure, come accade spesso nella tradizione ebraica, utilizzare l'espressione "Hashem" che significa "il NOME". Dico "il NOME" e tutti noi sappiano che mi riferisco al nome di Dio, che non so come si pronunci e che se anche lo sapessi, non lo pronuncerei.



Dal punto di vista storico, questo nome veniva pronunciato soltanto negli antichi templi biblici dal sommo sacerdote in occasione delle feste, delle preghiere, delle liturgie del giorno del Kippur, che era uno dei giorni più importanti della liturgia ebraica; veniva pronunciato così come per tradizione doveva essere fatto, però mentre ciò avveniva, i Leviti intorno a lui intonavano delle salmodie, dei canti, in modo che nessuno ne percepisse la pronuncia.
Il sommo sacerdote veniva nominato di anno in anno e ad ogni successione la pronuncia del nome di Dio veniva trasmessa e, siccome per essere nominati sommi sacerdoti bisognava avere una certa età, accadeva che in fine coloro che ne erano a conoscenza nel mondo non erano più di due o tre. Cessato il culto sacrificale e il culto liturgico nel santuario di Gerusalemme, è cessata anche questa tradizione, quindi oggi nessuno è più in condizione di sapere quale sia la pronuncia esatta del nome che è scritto con quattro lettere, come vi dicevo.
Queste quattro lettere dell'alfabeto ebraico sono, però, molto strane, particolari dal punto di vista morfologico e grammaticale, in quanto sono contemporaneamente gutturali e quiescenti; chi studia l'alfabeto ebraico sa che sono le lettere più "balorde", quelle che danno più fastidio nell'essere gestite, perché creano una quantità di problemi. Qualcuno ha voluto fare derivare questa radice "IOD e WAW" dalla radice che indicherebbe il verbo essere; questo nome di Dio pertanto, vorrebbe indicare l'essere con un miscuglio di presente, passato, futuro, ovvero la divinità sotto la connotazione della sua eternità.
E' una bella proposta, carina, simpatica, però non mi convince un gran ché; forse è molto più serio dire che non sappiamo il suo significato e neppure da dove derivi.
Nel testo biblico la divinità è chiamata spesso con questo nome ma anche con altre denominazioni.
La Bibbia comincia con l'espressione "Bereshit barà Elohìm", cioè: "In principio Dio creò il cielo e la terra..."; in questo caso viene adoperata l'espressione "ELOHIM". Anche in questo caso, però, non sappiamo quale sia il suo significato. E' un termine molto generico che designa sia il Dio quello vero, quello unico, quello nostro, sia delle divinità qualsiasi. Corrisponde all'incirca a quello che è il termine italiano "Dio"; dicendo la parola Dio posso indicare il Dio vero, oppure posso anche riferirmi a una divinità pagana e dire il "Dio Apollo".
La parola "ELOHIM" assume spesso anche il significato di giudici, elemento da non sottovalutare. Qualcuno ora può pensare che il termine "ELOHIM" stia ad indicare la divinità sotto l'aspetto di Dio giudice, il Dio della giustizia.
Dal punto di vista grammaticale l'espressione "ELOHIM" è un termine ebraico al plurale; chi conosce un po' la lingua ebraica sa che per fare il plurale di un certo nome si aggiunge la particella ìm alla fine della parola. Ovviamente indipendentemente dal termine col quale Dio viene identificato, dal testo risultano alcune caratteristiche che ora enuncerò genericamente.
Il Dio della Bibbia si distacca da tutte le altre divinità pagane a lui contemporanee, è il Dio che domina tutte le forze della natura, che genera le leggi della natura, che quando lo ritenga opportuno può anche contravvenire ad esse, perché sono una sua produzione. E' il Dio del popolo ebraico ed è al contempo Dio di tutto il genere umano. Un Dio che ha dato delle disposizioni all'uomo e che terrà conto del suo comportamento.
Credo che, volutamente, si è adoperata questa espressione per dare inizio alla narrazione biblica, per indicare ad un ambiente molto, molto generico, il più ampio possibile, che la divinità ha creato tutto quello che esiste, quasi a sottrarre valore, a sottrarre valenza alle forze della natura che, viceversa, nella antichità erano considerate per se stesse delle divinità. In un mondo dove la gente adora le montagne, il mare, il vento, le nuvole e così via, il testo biblico insegna che tutte queste non sono altro che creazioni di una volontà superiore, chiamata, senza entrare nei dettagli, divinità.
Un altro dei nomi col quale Dio è definito nel testo è il termine "EL". Questo nome ha la radice in comune col termine arabo "Allah" e anche esso designa la divinità in forma molto, molto generica. A volte si adopera l'espressione "EL-ELOE'-ISRAEL", cioè Dio d'Israele, scindendo tale espressione incontriamo le parole El, poi Eloè e poi ancora Israel: il Dio che è il Dio d'Israele. Ovviamente l'autore esprimendosi in questo modo voleva trasmettere un significato che a noi sfugge.
Quale differenza c'è tra il termine El e il termine Elohim? Non sembra che tra di essi vi sia un rapporto di plurale e singolare cioè che EL abbia come plurale il termine ELOHIM, infatti EL che indica Dio, ha come suo plurale "Elìm" che vuol dire "dei", mentre "Elohìm" sembra che sia il plurale di Eloè.
Sono stati intrapresi degli studi per cercare di venire a capo di questa questione. Quando il testo biblico adopera una di queste parole vuole insegnarci qualcosa oppure questi termini vengono usati a caso? Quando si dice EL vuole insegnarci qualche cosa di specifico rispetto al termine "ELOHA", rispetto al termine "ELOHIM", oppure viene adoperato così casualmente, come noi in italiano diciamo Dio, Padre Eterno, la divinità e così via?
Nel nostro parlare comune se io dico la Divinità o dico Dio non è che ho poi delle grosse differenze, indico più o meno la stessa cosa; e se invece ci sono queste differenze ma a noi sfuggono? Ecco che nasce un altro problema. Nel libro della Genesi esistono delle espressioni che contengono la parola Dio, "EL", attaccata a un nome di città, ad una località geografica, come ad esempio "EL Betel ": il Dio di una località chiamata "la casa di Dio": Betel. E' un gioco di parole in cui l'autore si diverte a compiere delle allitterazioni, degli scioglilingua; è un artificio molto usato nell'ambiente semitico e anche nella Bibbia: di tanto in tanto vi sono dei versetti congeniati dal punto di vista formale con una ripetizione di parole simili con significati diversi.
C'è un famoso versetto del libro dell'Esodo dove si ha l'espressione "Shàm sam lo koq umishpàt" ve l'ho detto alla svelta, avrete intuito subito questo " sh" e questa "esse". Il versetto, che si trova subito dopo la cantica del mare (Es 15, 25), narra che gli Ebrei giunsero, in una certa tappa del loro viaggio, in un posto chiamato Mara e lì Dio impose loro le leggi e gli statuti, mettendoli alla prova. A noi comunque, più che il contesto e il significato di tale espressione, interessa il fatto che ci sia un'allitterazione che crea una tendenza a fare confusione.
Anche l'espressione "EL BETEL" potrebbe rientrare in questo gioco di parole: il Dio della casa di Dio, quando tutti sanno che lì non si parla della casa di Dio ma di una località, Betel, che prende questo nome perché forse in un certo punto, in un certo momento, ospitava un santuario.
Tutto quello che sto dicendo è una ulteriore prova di ciò che sostengo costantemente: lo studio del testo biblico è particolarmente difficile per noi occidentali, perché abbiamo una mentalità che non corrisponde a quella semitica; noi dovremmo entrare, compenetrare in questo testo e cercare di metterci nell'ordine delle idee di chi lo riceveva, cioè dei contemporanei, ma noi questo lo facciamo con molta difficoltà.
Sempre nel libro della Genesi si trova l'espressione "EL OLAM", di nuovo la parola "EL" che indica Dio, divinità e il termine "OLAM" che è difficile da tradurre; qualche volta significa "mondo, universo", mentre altre volte assume il significato di "immensità", ma dal punto di vista temporale. Quando noi diciamo "EL OLAM" allora, intendiamo il Dio che governa l'universo o il Dio che è al di fuori del tempo? Non lo sappiamo.
Un'ulteriore espressione che si incontra nel testo è "EL ELION", "EL" = Dio, divinità, "ELION" = superiore: Dio eccelso. Tale espressione viene adoperata in bocca o in relazione al re Malchìzedek, Melek Salem al suo incontro con Abramo intervenuto nella guerra fra i re, per liberare il nipote Lot prigioniero (Gn 14). Di difficile interpretazione è anche il nome del sovrano: cosa vuol dire Malchìzedek e cosa Salem? Si possono formulare due ipotesi: la prima che Salem sia un aggettivo che ha il significato di "completo, integro" e quindi potrebbe voler dire che egli era un re onesto; la seconda, che la parola Salem, sia una deformazione del nome Ierusalem e pertanto indica che M. era il re di Gerusalemme. Cosa vuol dire tutto questo? Il discorso ci aprirebbe a considerazioni molto ampie. Pare che statisticamente parlando, i re di Gerusalemme avessero la caratteristica di avere nel loro nome un termine che mettesse in risalto la giustizia di Dio: Malchìzedek = il mio re è giustizia. Non so se per combinazione o per altro, nella Bibbia sia il primo re di Gerusalemme, Malchìzedek e l'ultimo di cui sentiamo parlare, Sedecìa, riservano un'attenzione alla giustizia di Dio; Sedec'a, infatti, significherebbe "Dio è la mia giustizia". In base a quanto detto qualcuno sostiene che nella Gerusalemme di Abramo, quando il mondo era immerso nell'idolatria completa, esisteva già una forma di culto di una divinità che forse era pagana, ma considerata superiore alle altre, una forma molto larvata di monoteismo.
In un altro passo della Bibbia, sempre a proposito di Abramo, incontriamo l'espressione "EL ROI" (Gn 16). La seconda moglie di Abramo, Agar, dalla quale nacque il famoso figlio Ismaele, scappa di casa perché maltrattata da Sara, la prima moglie. Durante la fuga, le appare Dio, che le dice: "Non ti preoccupare, tu avrai un figlio importante lo stesso, lascia stare questi pettegolezzi femminili...".
Agar ringrazia Dio e si rivolge a lui chiamandolo "EL ROI"; ecco Dio, Dio che mi vede, da roè = vedere. Che cosa significa ? Dio che mi vede, era una preghiera specifica di questa signora la quale ringrazia Dio: ti ringrazio Dio perché mi vedi, hai visto, hai considerato la mia situazione, tieni conto di me..., oppure significa che Dio vede in generale, vede e provvede, Dio è quello che vede non solo me, ma l'intera umanità e tiene conto. Questa notazione è importante, perché nell'ambiente molto antico del testo biblico non esistevano forme di ateismo cioè di rifiuto, di negazione dell'esistenza di Dio o della divinità, chiunque fosse. Esisteva piuttosto una tendenza a considerare l'indifferenza di Dio: Dio c'è, non lo metto in dubbio, però alla divinità non importa niente di quello che succede qua, è talmente grande, talmente importante che non può, non vuole, non ha nessuna intenzione di tener conto di quello che faccio io, tu, lui ecc... "EL ROI" vorrebbe essere in contrasto con questo: Dio c'è e non solo c'è, ma vede, quindi tiene conto.
Un'espressione analoga la incontriamo quando Abramo sta per compiere il sacrificio del figlio Isacco, il quale dialogando con il padre gli chiede: "Papà, stiamo andando a fare un sacrificio in onore di Dio, vedo che hai tutto, ma dov'è la vittima sacrificale? Dov'è?" e Abramo gli rispose: "ADONAI IRE", cioè "Il Signore provvederà", anche qui c'è l'accostamento tra il vedere nel senso di provvedere e il nome di Dio. La montagna dove accade questo episodio prenderà in seguito il nome di "HASCEM IRE": Dio provvede.
Un altro dei termini caratteristici che indicano la divinità è il nome "SHADDAI". Dio si rivolge ad Abramo dicendo: "ANI' EL SHADDAI" io sono il Dio "SHAD- DAI", moltiplicati. Accanto alla parola "EL" c'è questa espressione che è sicuramente una connotazione di Dio ma non sappiamo cosa voglia dire. Qualcuno sostiene che derivi dalla fusione di due parole: "SHAD-DAI" = basta, sufficiente, Dio è l'unica cosa esistente (e Dio mi perdonerà di questo linguaggio), che è sufficiente a se stesso. Tutte le cose hanno bisogno di qualcuno, se non altro che le abbia create, Dio no! Ecco perché qualcuno sostiene che tale espressione si può intendere nel senso di onnipotente, Colui che non dipende assolutamente da niente. Altri ritengono che sia un'abbreviazione della parola "SCH DIN" che significa che Dio è giustizia, la vera giustizia quella con la G maiuscola, non saprei come tradurre in italiano, una parola che indichi giustizia pura. Qualcuno molto più prosaico sostiene che tale espressione faccia venire in mente la radice "SCHDAD" che significa 'depredare', il 'predone'; non che voglia dire che Dio sia un predone, ma il senso potrebbe essere questo: Dio è l'eroe invincibile, quello che vuole, ottiene.
Riassumendo, per questo nome si presentano almeno tre proposte: Dio sotto una connotazione di unica cosa autosufficiente, giustizia pura, oppure Dio onnipotente che si presenta armato e quello che vuole ottiene. Non saprei cosa scegliere, secondo me siamo lontani da tutte queste interpretazioni.
Il nome con cui ho cominciato, il Tetragramma, è il nome di Dio così come lo vedono gli Ebrei, così come Egli si manifesta a loro, come se dicesse: "Agli Ebrei mi manifesto col mio nome personale, ai pagani mi posso presentare come divinità in generale e dicendo divinità, tutti intuiscono cosa sono".
Vi ricordate quel famoso passo, bello, forse un po' ironico, spaventosamente difficile, di Mosè che parla a Dio e gli chiede il nome? Mosè che ha la visione del roveto ardente ecc. (Es,3). Dio riferisce a Mosè di essere stato da lui prescelto per attuare la liberazione del popolo ebraico. Non volendo adempiere a tale compito, Mosè escogita innumerevoli scuse; a un certo punto, cercando di difendersi e non sapendo più cosa dire, ricorre a una specie di stratagemma; Mosè chiede a Dio: "Quando giungerò dal popolo ebraico e riferirò loro che Dio mi ha mandato per la liberazione e mi domanderanno chi sia questo Dio, cosa risponderò?". Mosè è consapevole del fatto che Dio non può rivelargli il nome ed è convinto che la missione fallirà. Dio gli risponde ironicamente: "Io sono quello che sono! Se ti domanderanno chi ti ha mandato, tu rispondigli così: "Quello che sono" mi ha condotto da voi, loro capiranno." Da ciò si può dedurre che già ai tempi di Mosè, c'era un'attenzione per il nome di Dio: Dio ha un nome?
Nel libro dell'Esodo al cap.6, vi è un altro versetto, uno di quelli ostici, duri, dove Elohim parla con Mosè e gli riferisce: "Anì' " e poi il nome tetragrammato, il nome che non sappiamo pronunciare. Continua dicendo: "Io sono apparso ad Abramo, Isacco, Giacobbe, come Dio SHAD - DAI, ma con il nome tetragrammato non mi sono mai manifestato a loro". Pare che Dio volesse dire: "Sappi che quando ho parlato con i patriarchi, mi sono manifestato loro solo come Dio Shad- dai, ma non con il mio nome". Cosa vuol significare questo discorso? Dio, forse, per incaricare Mosè ufficialmente per la sua missione, vuole riconoscere allo stesso un'importanza maggiore? Possiamo formulare anche un'altra interpretazione: forse da questo versetto emerge una forma di rimprovero nei confronti di Mosè: "Sai, Mosè, tu che ti dichiari discendente di Abramo, Isacco e Giacobbe, a loro mi sono manifestato come il Dio onnipotente ed è bastato, non mi hanno posto alcuna domanda, mentre tu vuoi sapere nome e cognome.
C'è forse un po' di mancanza di fede in te? Ai patriarchi ho promesso la terra di Canaan in cui hanno soggiornato come forestieri; ho sentito e ascoltato il grido di dolore dei figli di Israele asserviti dagli egizi ani e mi sono ricordato della mia promessa ecc". Un altro dei passi difficili da capire.
Il nome tetragrammato, che qualche volta viene da solo e altre viene accompagnato da altre espressioni, compare nel testo biblico 6823 volte, un nome citato piuttosto robustamente. Permettetemi di fare una piccola interiezione: nel secolo scorso è nata una teoria critica nei confronti del Testo, la teoria documentaria, che si proponeva di demolire l'unità dello stesso, partendo dalla considerazione, peraltro giusta, che in esso ci sono una quantità di contraddizioni. Proprio la presenza di tali incongruenze, determinano la mancanza di unitarietà del Testo che figura come qualcosa di raccogliticcio, di materiale diversissimo di autori differenti. Gli assertori di tale teoria, che successivamente è stata demolita da ricerche letterarie, archeologiche..., partirono dal presupposto giusto chiedendosi quale fosse il motivo per cui nel Testo la divinità si presenta con nomi diversi, risposero però a questa domanda con un concetto sbagliato. Essi giunsero alla conclusione che ai diversi nomi corrispondevano autori di ambienti differenti. Se leggete determinati testi critici di sessanta, ottanta anni fa, sentirete infatti parlare delle fonti, ovvero quelle fonti che si fanno risalire a un primitivo autore che adoperava l'espressione Elohim. In questi testi tali considerazioni sono date come appurate mentre non lo sono affatto; ripeto: la ricerca più moderna tende a sottolineare l'unitarietà del testo.
La questione delle diverse denominazioni di Dio è stata trattata anche dai nostri antichi maestri. Una delle risposte che hanno tentato (non guardate le risposte, guardate il problema) è stata la seguente: i nomi vengono adoperati a seconda del significato dell'espressione che indica il nome stesso: Elohim a volte assume il significato di "giudici" e quindi viene a rispecchiare la personalità di Dio sotto l'aspetto della giustizia; il nome tetragrammato invece verrebbe a sottolineare piuttosto l'aspetto della bontà di Dio, Dio pietoso, misericordioso, perdonatore. Questa è una teoria a cui non credo molto, ma come tale è da prendere in considerazione e studiare. Secondo questa visione delle cose, Dio all'inizio della creazione si presenta come "Elohim" perché intendeva creare l'universo sotto il dominio della giustizia; successivamente Egli si sarebbe accorto (altra bestemmia), che un universo regolato dalla giustizia non sussisterebbe nemmeno un istante.

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