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La profezia al femminile
(Rav Luciano Caro)


Se nel testo biblico incontriamo spesso presenze di profeti uomini, non dobbiamo dimenticare che ci sono anche delle profetesse donne.



Prima di tutto dobbiamo cercare di capire che cosa sia un profeta dal punto di vista biblico. Il termine "profeta", in ebraico, è navì, da cui il termine nevuàh, che significa profezia. Banalmente noi associamo alla figura del profeta quei personaggi un po' strani che predicono il futuro con la palla di vetro, ecc. Invece nella visione ebraica, il navì è colui che trasmette un messaggio ricevuto dall'Eterno. E' uno strumento di Dio per fornire un certo messaggio, che può essere un'indicazione per ciò che bisogna fare o per ciò che succederà o anche su problemi molto contingenti. Dobbiamo toglierci dalla testa che il profeta sia uno che predice il futuro, anche perché, quando i profeti parlano dei tempi, non sappiamo mai se il futuro a cui fanno riferimento sia vicino o lontano, realizzato o non ancora realizzato. Questa è quella che gli studiosi chiamano la "polivalenza della profezia", perché le profezie contengono delle verità assolute e perciò valide sempre.
Torniamo un attimo all'aspetto linguistico. Non sappiamo da dove derivi la parola navì - profeta -, fra l'altro molto diffusa nel testo biblico. A volte, a sostituirla, troviamo la parola moshìa - salvatore - altre volte troviamo rohè - il veggente - o ancora chozzé - colui che vede più in profondità; in alcuni casi il termine navì è sostituito da shofét - il giudice - cioè quella persona che detiene una certa forma di autorità, politica, giuridica, militare.
Alcuni dicono che il termine navì derivi da una locuzione propria dell'antico semitico e non dell'ebraico, che sembra volesse esprimere il far conoscere, il rivelare; il profeta, allora, sarebbe colui che fa conoscere e rivela.
Altri dicono, invece, che il termine porti in sé il significato di proclamare, cioè attestare qualcosa in forma pubblica e altri ancora ritengono la parola navì semplicemente un'espressione poetica, che vuole esprimere il chiamare, il parlare, l'emettere la voce.
Di fatto non sappiamo di preciso quale sia il significato di questo termine. Perciò è importante che ci rifacciamo direttamente al testo biblico, per cercare di capire cosa sta dietro la figura del profeta.
Una caratteristica della figura dei profeti biblici è quella dell'assegnazione di questo compito: alcuni l'hanno accolto spontaneamente, di buon grado, altri, invece, l'hanno subito. Vi faccio alcuni esempi rapidissimi.
Mosè non ne voleva sapere, cerca tutte le scuse per non accettare l'incarico di andare a liberare Israele dall'Egitto; finché Dio gli impone di andare e lui accetta. Peraltro riesce a svolgere benissimo il suo mandato, salvo alcune lamentele.
Allo stesso modo Geremia non ha nessuna voglia di fare il profeta, ma Dio gli dice che è stato designato per questo quando ancora era dentro l'utero di sua madre e così accetta, ma, come Mosè, ritorna a lamentarsi di tanto in tanto.
Isaia, invece, racconta della visione divina che ha avuto, nella quale Dio stesso chiede chi poter inviare per la sua missione e lui si offre volontariamente: "Eccomi, manda me!".
Alcuni profeti hanno esercitato la missione per tutta la vita, altri solo per un periodo. Amos, uno dei profeti più antichi dopo Mosè, riceve un incarico da svolgere presso il re di Israele e viene chiamato da Dio, che lo sottrae al suo lavoro di vaccaro; ma una volta portata a compimento la sua missione, ritorna alla sua vita di prima.
Quindi il profeta si presenta e parla, perché ha ricevuto da Dio un comando preciso.
La parte normativa della Torah si sofferma a considerare la realtà dei profeti e dice che Dio ha voluto suscitare dei profeti, che comunichino al popolo la sua volontà; perciò occorre fare bene attenzione a quanto essi dicono, perché chi non dà ascolto al profeta di Dio, è punibile con la morte. Tutto questo, però, presupponendo che si tratti di un vero profeta, un profeta di verità, incaricato da Dio per la sua missione. Se invece c'è un falso profeta che viene a predicare un messaggio che lui fa passare per divino, ma non lo è, questo profeta deve essere messo a morte. Così dice il Deuteronomio.
Ma come facciamo a distinguere il profeta vero da quello falso?
Il profeta vero è quello che non si mette mai in contrasto con l'insegnamento di Dio. Se un tale viene a mettere in discussione una norma, predicando che non va messa in pratica, è sicuramente un falso profeta, perché Dio non si rimangia i suoi insegnamenti.
Se il profeta annuncia delle cose specifiche, che poi non si verificano, questi è falso. Ma se la cosa è annunciata con molti anni di anticipo, può succedere che al momento in cui si può verificare la veridicità o meno della profezia, il profeta stesso sia già morto.
Di profeti falsi ce ne sono stati tanti e magari anche in buona fede. Qualcuno che ha creduto di aver ricevuto da Dio una missione e invece non era affatto così. Una situazione che può rasentare anche la patologia. In fondo capitano quasi tutti i giorni personaggi di questo genere.
Secondo la nostra visione ebraica la profezia a un certo momento è cessata; fino all'inizio della dispersione di Israele ad opera dei babilonesi, circa 500-400 anni prima dell'era volgare, Dio ha inviato dei profeti al suo popolo, ma dopo no. Noi non ci aspettiamo più che sorgano dei profeti, perché pensiamo che la parola del testo biblico sia esaustiva, sia talmente completa da contenere tutto. E Dio non aggiunge, toglie o cambia nulla nel suo insegnamento, perché ci ha già donato tutto quello di cui abbiamo bisogno per condurre la nostra esistenza.
Voglio leggervi un passo riguardante la storia di Mosè, che noi consideriamo l'arciprofeta, perché di lui si dice che ha avuto un contatto tale con Dio, quale nessun uomo, né prima né dopo, ha mai avuto, un contatto diretto, faccia a faccia.
Nel libro dei Numeri, al cap. 12, troviamo quell'episodio, difficilissimo da capire, del contrasto avvenuto tra Mosè e suo fratello Aronne. Si dice che Miriàm, sorella di Mosè e Aròn, fratello di Mosè, parlarono male di Mosè a proposito della donna cushita che aveva preso. Cushita, nel linguaggio biblico, vuol dire etiope.
Non c'è dubbio che quando il testo biblico usa l'espressione "donna etiope o africana", voglia riferirsi a una donna di colore, ma senza nessuna implicazione né positiva né negativa, se non che si trattava di una donna molto bella.
Dunque il testo dice che Aronne e Maria, fratelli maggiori,  parlarono male di Mosè a causa di questa donna che aveva sposata e dicono queste parole: "L'Eterno non ha parlato solo con Mosè, ha parlato anche con noi!". E' chiaro l'elemento della gelosia. Ma notate che loro non l'attaccano direttamente, sul punto che scatena la loro gelosia, ma su un'altra cosa. Come succede sempre. Loro parlano male di Mosè per via della moglie, ma in realtà quello che gli dava fastidio era ben altro.
Dopo queste parole di gelosia, il testo dice: "L'Eterno udì". E c'è da tener conto di un'altra affermazione della Scrittura che dice che Mosè era l'uomo più umile della terra. Mosè non si è mai vantato di avere quel contatto così particolare con Dio.
Continuiamo con il testo di Numeri. L'Eterno parla con Mosè, con Aronne e con Miriàm e dice loro: "Presentatevi tutti e tre". L'Eterno scende in una nube di caligine e si rivolge ad Aronne e Miriàm dicendo: "Ascoltate le mie parole: se avete una profezia, succede che l'Eterno si fa conoscere da questa persona che ha la profezia in una visione o gli parla con un sogno. Le cose non stanno così per il mio servo Mosè, che è il più fedele in tutta la mia casa. Parlo con lui bocca a bocca e lui ha delle visioni non attraverso degli enigmi e lui riceve la figura di Dio. Pertanto, come mai non avete avuto timore di parlare contro l'Eterno?". Qui abbiamo una specie di definizione del profeta. Ci sono dei profeti, delle persone che hanno avuto un contatto particolare con Dio, ma da quello che risulta da questo testo, l'unico che ha avuto un contatto diretto, che ha guardato in faccia il Signore Dio (è una bestemmia: Dio non si guarda in faccia), cioè ha avuto un contatto non mediato, è Mosè. Agli altri Dio si è rivelato, ma con delle visioni o dei sogni o degli enigmi, cioè degli interrogativi. Non sempre la persona alla quale Dio si presenta in questi modi, ha la sicurezza di avere avuto una visione di Dio.
Pare che questo sia il messaggio: Mosè ha avuto dei messaggi diretti, indiscutibili, da parte di Dio, mentre tutti gli altri, come anche Aronne e Miriàm, hanno avuto sì dei contatti, ma sempre con l'incertezza: "E' proprio successo?".
Molto spesso Dio dice qualcosa che corrisponde alla verità, ma che deve essere interpretato e allora non si è mai sicuri di avere interpretato bene.
Vi ricordate la storia di Isacco? Lui sposa Rebecca, ma non riescono ad avere figli. Pare che Rebecca abbia cercato in qualche modo un contatto con Dio - non sappiamo in che modo. Infatti, ad un certo punto, la Scrittura le mette in bocca queste parole: "Se è così, cosa ci sto a fare io?". Contestualizziamo un attimo. Pare che Rebecca si sia rivolta a Dio in preghiera, insieme al marito e vengono ascoltati, infatti Rebecca rimane incinta. Ma durante la gravidanza sembra che nel grembo di Rebecca avvengano degli incontri di pugilato, tanto il feto si muove. Lei non lo sapeva, ma aveva concepito due gemelli. Allora lei si rivolge di nuovo a Dio: "Cosa sta succedendo?", che le risponde, ma in forma enigmatica: "nel tuo ventre ci sono due nazioni e due nazionalità si separeranno dalle tue viscere". Noi sappiamo come è andata a finire, ma per Rebecca tutto questo era molto oscuro. Quel "dalle tue viscere" vuol dire che la separazione comincia già fin dal grembo. Ma il testo continua: "… e una nazione supererà l'altra e il grande servirà il giovane". Non dice "il vecchio servirà il giovane", ma "il grande" e ci si aspetterebbe che dicesse: "servirà il piccolo", invece no: "il grande servirà il giovane". Voi interpretate come vi pare.
Noi possiamo capire che Dio volesse dire che nel grembo c'erano due gemelli, ma non omozigoti e perciò molto diversi, separati e succederà qualcosa di particolare: uno è grande, uno è giovane, ma mentre di solito il giovane serve il più grande, qui avviene il contrario. Cosa però volesse dire veramente il testo, io non lo so. Potrebbe voler dire che Giacobbe divenne capostipite degli Ebrei ed Esaù il capostipite degli Arabi, i popoli orientali.  Insomma, si preconizza il contrasto fra questi due popoli, che provengono dallo stesso padre e dalla stessa madre.
Oppure si può andare anche più in là: si tratta del contrasto più ampio tra oriente e occidente, tra il sud e il nord del mondo, tra ebrei e cristiani, ecc.
Ma il punto è che Rebecca ha ricevuto una parola che non riesce a capire. E' una profezia avvenuta attraverso un enigma.
Analogamente c'è un altro caso in cui troviamo un re con dei problemi politici e si dibatte nel dubbio se partecipare a una coalizione o no, cioè entrare in un conflitto o no. Allora si rivolge a una profetessa chiedendole come sarebbero andate le cose: "Che fine farò io?". E lei risponde: "Morirai tranquillo nel tuo letto". Forte di questo, lui partecipa alla campagna di guerra, ma viene ferito, viene trasportato moribondo a casa sua, viene steso sul letto dove muore. Vedete? La risposta enigmatica ha tratto in errore quel re.
Ma quando Dio parla con Mosè le cose non stanno così: Dio parla faccia a faccia, senza enigmi.
Voglio però farvi notare una cosa importantissima: nonostante questo contatto così diretto e sicuro con Dio, Mosè ha dei dubbi. Non ha mai perso questa sua caratteristica umana di porsi delle domande, di dubitare.
A un certo punto Mosè arriva a domandare a Dio di vederlo. Vuol vedere Dio, lui, che aveva un tale contatto! Dice proprio così: "Voglio conoscere le tue strade". Vi immaginate la difficoltà della domanda? Un uomo che vuol conoscere le strade di Dio, cioè i suoi comportamenti, lo scopo del suo agire. Se fa questa domanda, vuol dire che ha dei dubbi. Ma forse è proprio questo il modo corretto di considerare Dio. Perché ci sono alcuni che pensano di conoscere Dio già abbastanza e di non aver più bisogno di indagare; ma a me sembra una forma di pigrizia mentale, di superficialità. La fede in Dio, quella più genuina, ti porta a farti delle domande. Se un tale crede totalmente in Dio, vuol dire che non ha capito che Dio è incomprensibile e che pone dei problemi costantemente.
Ma non voglio andare fuori tema.
Ma cerchiamo di passare al nocciolo del nostro argomento. La Bibbia ebraica ci presenta per sette volte la figura di profetesse. Ma quasi di tutte non sappiamo niente.
La prima profetessa che incontriamo è Miriàm, chiamata con questo appellativo proprio dal testo biblico stesso. Se ricordate, all'uscita dall'Egitto, quando Israele ha attraversato il Mar Rosso, il popolo è invitato a cantare e danzare ed è la profetessa Miriàm ad intonare una grande cantica.
In che senso Miriàm è una profetessa? Qual è il messaggio che lei ha ricevuto da Dio? Non lo sappiamo.
Però su Miriàm possiamo trovare molte informazioni nei nostri midrashìm. Per esempio di lei si dice che aveva un rapporto speciale con l'acqua. Ricordate? E' stata lei, in Egitto, a rimanere a sorvegliare il cestello con il fratellino dentro deposto dalla madre nelle acque del Nilo per salvarlo. E rimanere lì poteva essere anche rischioso. Da quel momento, dicono i nostri maestri, è iniziato per Miriàm questo rapporto particolare con l'acqua. Tant'è vero che durante tutto il soggiorno degli Ebrei nel deserto, finché c'era Miriam viva, il popolo non ha mai avuto grossissimi problemi con l'acqua, perché interveniva lei e sapeva indicare dove scavare per trovare l'acqua. E' un'allegoria, ovviamente. Ma
i nostri maestri ci fanno notare quel versetto biblico in cui è detto che Miriàm morì e fu sepolta, ma subito dopo si legge che il popolo non aveva l'acqua. Vedete che c'è un rapporto speciale?
Come sempre io voglio stimolarvi ancora di più ad affrontare il testo biblico con attenzione. C'è un passo in cui si dice che qualche volta ognuno di noi può essere un profeta di Dio senza accorgersene. Non prendete alla lettera, ma andate a studiare.
Torniamo all'episodio di Mosè salvato dalle acque. Quando sopraggiunge la figlia del Faraone, Miriam si offre di andare a cercare una levatrice e così va a chiamare la madre; la figlia del faraone le dice: "Porta questo bambino e allattalo per me e io ti darò la tua retribuzione". La donna prese il bambino e lo allattò. Pensate: invece di vedere il proprio bambino ammazzato, può riaverlo, può nutrirlo lei stessa addirittura a spese dello Stato! Questo un po' in tono scherzoso, ma io vorrei farvi notare le parole della figlia del Faraone, che ha detto: "Porta questo bambino". Non "prendi", ma "porta". Portalo dove? Forse voleva dire: "portalo a casa tua". Fra l'altro qui è usata una forma verbale sconosciuta; tutti abbiamo la percezione che si tratti del verbo halak, "andare", perciò sarebbe "fai andare", ,ma grammaticalmente non sta in piedi.
Qualcuno dice che questa espressione sarebbe la contrazione di due parole, che diventerebbe: "Ecco a te questo bambino". Alcuni maestri dicono che sia stata una forma di profezia, perché lei voleva dire alla donna: "Il bambino è tuo". Forse la figlia del Faraone aveva capito benissimo di cosa si trattasse.
Andiamo avanti nella nostra carrellata veloce delle figure di profetesse.
Dopo Miriàm abbiamo Debora. Siamo nel periodo dei Giudici, in un momento in cui gli ebrei devono fare guerra ai Cananei, ma il popolo è in difficoltà, perché manca chi possa condurre il popolo in battaglia. Allora i capi si rivolgono a Debora, personaggio famoso, che abitualmente stava sotto una palma e chiedono a lei cosa devono fare. Lei indica di scendere in battaglia sotto la guida di un certo Baràk, l'uomo adatto per ottenere la vittoria. Mandato a chiamare, Baràk si schermisce, ma alla fine accetta a condizione che anche Debora vada con loro in battaglia. Ma alla fine Debora non va e la guerra viene vinta dagli Ebrei.
Anche nel libro di Neemia si parla di una profetessa, una certa Noadiàh, della quale non sappiamo altro che il nome.
In Isaia appare una profetessa, ma non è nominata. L'interpretazione ufficiale sostiene che questa fosse la moglie di Isaia, ma non c'è nessuna base su cui poggiare questa affermazione.
Poi abbiamo la figura di Hulda, che troviamo nel secondo libro dei Re, al cap. 22. Siamo nel 610 prima dell'era volgare e si racconta che il re Yoshiahu, che aveva preso il trono a 8 anni, una volta diventato adulto, dà vita a una grande riforma. Il popolo allora era molto depravato a livello morale, caduto nell'idolatria, a causa dei re suoi predecessori. Quindi il re si mette all'opera in questo senso riformatore, ma in contrasto con la classe politica dirigente del tempo, perché i nobili e la casta sacerdotale trovavano comoda la situazione di degrado che si era costituita. I nobili, per es., sfruttavano i lavoratori, defraudavano i salariati, ecc., mentre i sacerdoti facevano il doppio gioco servendo il santuario ebraico e le divinità pagane, ricavandone ricche prebende.
Una delle prime cose che il re ha fatto, è stata quella di restaurare il grande santuario di Gerusalemme, costruito da re Salomone, che era andato in rovina, perché i denari che si raccoglievano dal popolo per la manutenzione, venivano presi dai sacerdoti per loro stessi. Proprio nell'ambito del restauro del tempio, viene trovato un rotolo del testo biblico, che viene portato al re, che, avendolo letto e avendo riconosciuto in esso la legge divina, decide che questa legge deve essere la legge dello Stato.
Leggendo il racconto sembra che gli Ebrei non avessero la Torah, ma se non avevano la Torah, come funzionavano le cose, il santuario, ecc.? Erano arrivati a un punto tale che non avevano più nemmeno il testo biblico? Oppure è stata tutta una messa in scena organizzata dal re con la collaborazione della parte più sana della classe dirigente? Ritrovare in forma quasi miracolosa il testo sacro della Torah, doveva suscitare molto più interesse ed entusiasmo nella popolazione. Il re proclama la legge in forma ufficiale davanti a tutto il popolo; fra le prime cose, vengono liberati gli schiavi e questo particolare attira l'attenzione dei nostri Maestri che mettono in luce l'aspetto politico di questa mossa. Qualcuno insinua che il re avesse bisogno di personale per la guerra e così escogita questa cosa, per avere la possibilità di sottrarre gli schiavi ai nobili. Infatti all'orizzonte c'era una guerra contro i babilonesi, popolo organizzatissimo e potente, mentre gli Ebrei, piccoli e poco numerosi, non sanno come muoversi. Qualcuno propende per la sottomissione, qualcun altro per la rivolta. Non dobbiamo dimenticare che in quel periodo la scena mondiale del Mediterraneo era dominata dall'Assiria e Babilonia da una parte e dall'Egitto dall'altra. E Israele era preso fra queste due potenze. Da una parte l'Assiria che voleva attaccare e dall'altra l'Egitto che soffiava in favore della ribellione contro il giogo babilonese. Lo Stato ebraico del tempo era lacerato fra questi due fronti.
A un certo punto c'è stata una battaglia famosissima tra i babilonesi e i resti dell'esercito assiro a Carchemìs, nel Nord dell'Assiria e gli egiziani mandano un corpo militare per aiutare gli Assiri contro i Babilonesi, prima loro nemici. Quindi gli egiziani sbarcano in territorio israeliano, ma il re esce verso di loro per contrastarli; ma prima di andare si rivolge alla profetessa Hulda chiedendole cosa deve fare. Lei risponde che la punizione di Dio verrà, ma non sarà imminente e lui morirà nel suo letto. E lui esce contro l'Egitto, nella piana di Meghiddò, ma l'esercito israeliano viene sconfitto, il re viene portato a Gerusalemme moribondo e morirà nel suo letto.
Allora che profezia era quella di Hulda? Notiamo alcuni particolari che ricaviamo dal cap. 22 del secondo libro dei Re. Ci viene detto che Hulda era moglie di un certo Shallùm, custode delle vesti (forse era guardarobiere del re) e che lei stava a Gerusalemme, nella periferia. Ma a Gerusalemme c'era anche Geremia; e allora perché il re non va da Geremia, ma da questa donna? Qualcuno dice che forse il re era in contrasto con Geremia, ma qualcun altro dice che forse il re pensava che le donne sono più sagge degli uomini e quindi una profetessa ha una visone migliore delle cose. Comunque Hulda, interrogata, dice così: "Dite all'uomo che vi ha mandato: Così dice l'Eterno: Io faccio venire una punizione verso questo luogo e i suoi abitanti, in relazione a tutte le parole del libro che è stato trovato nel santuario, perché mi hanno abbandonato e prestano culto a divinità straniere per farmi adirare in tutto quello che fanno e la mia ira si scatenerà contro questo luogo e non si placherà. Ma dite al re di Giuda che vi ha mandato da me per interrogare la volontà di Dio: Così direte: Queste sono le parole del Dio di Israele: Siccome il tuo cuore è più onesto e tu hai dato ascolto a quello che ho detto in quel libro, la profezia di rendere desolato questo posto, siccome tu hai pianto davanti a me, io quello che ho previsto lo rimando. Ti riporterò ai tuoi padri e sarai seppellito nei tuoi sepolcri in pace e i tuoi occhi non vedranno tutto il male che io sto per portare in questo posto".
Difatti Giosia non ha visto la distruzione di Gerusalemme.
Ma come mai lei ha risposto così? Ha voluto trarlo in inganno?
A mio avviso è molto importante il fatto che il testo biblico ci racconta queste cose con la massima naturalezza; nessuno si sorprende del fatto che Dio si serva sia di uomini che di donne per manifestare al suo popolo la sua parola.
Tutto il testo biblico è orientato nel presentarci degli eroi maschili, ma quando c'è qualche decisione importante da prendere, in momenti di grande crisi, noi troviamo l'eroe maschile imbambolato, che non sa cosa fare, mentre entra in scena una donna che dà la soluzione.
Pensate ad Adamo ed Eva. Non voglio dare delle interpretazioni che ci porterebbero lontano, ma tutto quello che è successo nel paradiso terrestre, è stato, in qualche modo, programmato dalla donna. Se dipendeva dall'uomo, forse sarebbe ancora nel giardino dell'Eden. Hanno mangiato perché è intervenuta la donna. Anche se rimane vero che quello sbaglio era voluto da Dio, perché, se Dio non voleva, in qualche modo sarebbe intervenuto. E' la donna che si muove e cambia radicalmente la situazione: l'uomo è cacciato dall'Eden e comincia la sua storia nel nostro mondo.
Anche Abramo e Sara ci offrono spesso situazioni simili. Abramo resta incerto sul da farsi, mentre Dio dice una frase molto forte riguardo a Sara: "Tutto quello che ti dirà Sara, ascolta la sua voce". Dio dice ad Abramo di obbedire a Sara, anche se lei fa delle cose che non ci piacciono. Prende la schiava e la fa unire a suo marito, poi si ingelosisce e la fa cacciare insieme all'altro figlio. Insomma, nella visione di Dio, le cose dovevano andare in quel modo.
Lo stesso Mosè ci offre un quadro del genere. Quando parte per la sua missione di andare a liberare il popolo, lungo la strada avviene una cosa terribile, incomprensibile: Dio gli si fa incontro e cerca di ammazzarlo. Dal testo non riusciamo, però, a capire bene a chi si è fatto incontro Dio e chi voleva ammazzare. Ma Mosè non sa cosa fare. Arriva sua moglie, circoncide il figlio, prende il prepuzio e lo butta ai piedi di Mosè, dicendo: "Tu sei uno sposo di sangue per me". Non so cosa vuol dire questo episodio, ma presumibilmente è successo che lungo il cammino o Mosè o il figlio si sono ammalati gravemente e non sapevano cosa fare. La moglie ha capito che il pericolo grave era dovuto al fatto che Mosè non aveva circonciso il figlio. Andava a salvare il popolo, ma non aveva messo in pratica la legge.
Questi non sono gli unici casi, ma è per comprendere che la donna molte volte fa da protagonista e si mostra più saggia, più sagace degli uomini.


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