riso - amicizia ec romagna

Vai ai contenuti

Menu principale:

Il riso  e il sorriso nella tradizione ebraica
(rav Luciano Meir Caro)


Esiste un rapporto tutto speciale tra il riso e la tradizione ebraica, nel senso che, fin dalle prime pagine della Bibbia, la nostra Torà, si comincia a parlare della radice letzalkech, ossia lo scherzo, il ridere, il sorridere e sembra quasi che il testo biblico ci prenda un po' in giro, perché adopera questo verbo con delle annotazioni diverse. Qualche volta vuoi dire ridere, qualche altra vuoi dire far ridere o sorridere, qualche volta vuoi dire perfino avere dei preliminari amorosi con un membro dell'altro sesso.
Non è senza significato il fatto che al figlio di Abramo sia stato dato il nome Itzkach: quello che ride o quello che fa ridere. Se leggete i passi corrispondenti del libro della genesi, voi vedete quante volte è adoperata questa locuzione.
Un altro punto della Bibbia in cui questa allocuzione ritorna è niente meno che il libro del Qohelet, che, a prima vista, si presenta come un libro molto pesante, pessimistico e così via; in realtà il messaggio che ci trasmette questo libro è questo, almeno così come lo intendo io: nella nostra vita la cosa più importante è l'allegria, la gioia, l'unica cosa che ci viene data da Dio per rendere meno penosi i nostri giorni su questa terra. "Io lodo l'allegria, poiché sotto il sole non c'è niente di meglio per l'uomo, se non mangiare, bere e rallegrarsi" e continua in un altro passo: "... rallegrarsi con la propria donna".
Qualcuno fa questa osservazione: quand'è che ridiamo? Cos'è che suscita il riso? Qualche volta ridiamo per una cosa che non riusciamo a capire. Qualcuno dice che il popolo ebraico fin dall'inizio della sua vicenda ha suscitato, in qualche modo, il riso o il sorriso, perché si è presentato come un qualcosa di incomprensibile. La nascita e l'esistenza del popolo ebraico è in contrasto con tutte le forze che operano nella storia. Noi non dovremmo esistere: tutte le regole dell'antropologia, dell'economia, della politica, ecc. dicono che noi non dovremmo esserci, eppure ci siamo! L'ebreo è considerato il simbolo dell'immortalità: non l'hanno potuto distruggere le sofferenze, le persecuzioni, i forni dei nazisti, la spada dell'inquisizione, l'assimilazione; nessuno ha potuto distruggerci e, fin dall'inizio della nostra storia, abbiamo ricevuto e ritrasmesso all'umanità il messaggio di Dio, che proclama l'esistenza, l'unità e la sovranità di Dio su tutto ciò che esiste.
Isacco è nato in una vicenda innaturale - non sarebbe dovuto nascere -; il popolo ebraico è nato in circo-stanze innaturali e continua a vivere in questa forma. Qualcuno dice: chi ha capito tutto è stata Sara, la madre di Isacco, che gli ha dato questo nome, nella cui connotazione c'è tutto il nostro futuro.
Una brevissima notazione per quanto riguarda un'osservazione fatta dai maestri del Chassidismo, i quali notano che la tristezza è quanto c'è di più negativo nella nostra esistenza. Chi è triste non combina niente di positivo, anzi non combina niente. Soltanto chi è dotato del senso dell'umorismo e della capacità di sorridere, prima di tutto di se stesso, di ridimensionarsi; soltanto una persona di questo genere, che può sorridere delle proprie lacune e manchevolezze, può produrre qualcosa di positivo per sé e per la società di chi lo circonda. Hanno detto ancora i maestri del Chassidismo che la gioia, l'allegria è il migliore strumento che Dio ci ha dato per poterci avvicinare a Lui.

(Questo breve intervento è stato tenuto in occasione del conferimento di socio onorario dell 'Accademia dei Benigni di Bertinoro a Moni Ovadià il 21 maggio 2001)


Torna ai contenuti | Torna al menu