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Susanna e i due giudici iniqui
(Rav Luciano Meir Caro)


Credo che non si possa parlare di Susanna, senza una breve introduzione sui libri cosiddetti apocrifi, o pseudo-epigrafici, detti altrimenti deutero-canonici. Vorrei chiarire questo concetto. Esiste la Bibbia ebraica, che viene chiamata Primo o Antico Testamento, ma che per noi è il Testamento, cioè una serie di libri che, secondo il nostro punto di vista, discutibile, hanno un'origine divina, cioè sono stati scritti sotto ispirazione. Quindi quando uno si mette a leggere questi libri, deve mettersi nell'ottica di capire che non si tratta di un testo qualsiasi, ma che in esso è Dio che si esprime, servendosi di una penna umana. LA cosa non è così semplice come sto cercando di dire, perché sono occorse decine di anni per stabilire quali fossero i libri sacri e quali no. Questo problema è subentrato, tra gli Ebrei, circa 400 anni prima dell'Era volgare, quasi 2500 anni fa, al ritorno del popolo ebraico dall'esilio babilonese. Il popolo comincia a porsi delle domande su che cosa sia l'Ebraismo, o simili. Dopo decine di anni vissuti in un ambiente assolutamente estraneo, avevano bisogno di recuperare il significato della loro identità e quindi emergeva il bisogno di capire qual era la differenza tra gli Ebrei e gli appartenenti ad altri movimenti religiosi. Quindi: chi siamo noi? Cosa crediamo? Quali sono le nostre basi ideologiche? E' chiaro che non è stato facile dare risposta a tali domande; sono occorse decine di anni. Sappiamo che i detentori della responsabilità della gestione di queste problematiche sono stati Esdra e Neemia, autori di due libri appartenenti al canone biblico. Essi si sono posti questi problemi, cercando di aiutare a trovare soluzioni. Cosa, ovviamente, tutt'altro che semplice, soprattutto quando entravano in gioco certe situazioni particolare, come, per es. quella dei matrimoni con donne del paese straniero e perciò non appartenenti alla razza ebraica. Ci si domandava, davanti a tutte queste famiglie formate da donne non ebree, con figli nati e cresciuti in esilio, se per essere Ebrei era sufficiente una parentela, o era necessario qualcos'altro. Per quanto riguarda questo caso specifico, Esdra e Neemia erano arrivati a formulare la disposizione di rimandare la moglie e i figli; disposizione che, però, non è stata attuata, perché la storia è più forte dell'ideologia. Non so se vi rendere conto di quanto sia attuale questa questione; infatti una situazione simile a questa si è verificata, allorché cominciarono a riversarsi dalla Russia in Israele tantissime persone.
Un altro elemento era quello della lingua. Dopo 70 anni di deportazione la lingua ebraica era stata dimenticata ed occorreva ripristinarla. Ma questo è ancora secondario. Se passiamo, invece, alla fede, a ciò in cui quel popolo credeva, entriamo nell'ambito più sacro, più importante. La domanda era: "Cosa crediamo noi?". Occorreva scegliere i libri di origine divina e per il popolo cogenti per quanto riguardava il loro modo di pensare e fare distinzione fra questi libri e tantissimi altri libri. In base a criteri che noi non siamo stati in grado di recuperare pienamente, sono stati scelti alcuni libri e riconosciuti come sacri e sono stati lasciati fuori da questa categoria tanti altri libri.
Alcuni grandi personaggi hanno preso una posizione particolare, affermando che ci sono i libri sacri e i libri esterni, altri, che sono fuori. Alcuni maestri addirittura arrivarono ad affermare che chi legge i libri esterni non ha diritto al mondo futuro, cioè non potrà avere l'anima salva. Il significato, però, non era quello di proibire la lettura, no!, ma che quei libri vanno letti con un'ottica diversa da quella con cui si leggono i libri sacri.
E' anche chiaro che i libri sacri erano conservati e trattati con maggior cura.
Dal 400 prima dell'Era volgare in poi , diciamo fino al 200 dopo l'Era volgare, si è venuta a creare tutta una letteratura interessantissima, che è lo specchio di quello che era la situazione ebraica e del mondo circostante. E' ovvio che, non essendoci ancora la stampa, i manoscritti dei libri esterni erano meno curati, meno corretti di quelli dei libri sacri. E questo è un elemento importante, anche perché tante volte si trascrivevano abbastanza a memoria.
Alcuni testi non sono stati accettati come sacri, perché non era a disposizione una versione in lingua ebraica. Le lettere dell'alfabeto ebraico, lo sappiamo, sono elementi fondamentali della creazione; qualunque altra lingua non risponde a questa esigenza. Quindi se non abbiamo il testo in ebraico, non possiamo considerare questi libri come provenienti da Dio, perché potrebbero essere stati deformati nel corso delle varie trascrizioni.
Successivamente la letteratura ebraica ufficiale continua con la redazione dei testi della Mishnà e del Talmud; libri non considerati sacri, ma ugualmente importanti per la nostra tradizione, che risalgono dal II secolo al VI secolo dell'Era volgare e sono soprattutto libri di normativa.
C'era un'avversione da parte ebraica di mettere per scritto delle norme, perché si pensava che mettendole per scritto si sarebbero fossilizzate; mentre la normativa va trasmessa di generazione in generazione col linguaggio di quella generazione. Quando la dispersione degli Ebrei nel mondo è diventata definitiva, si è giunti alla conclusione che era necessario mettere la normativa per scritto e così nasce la Mishnà, che fu poi commentata nelle varie accademie lungo i tre, quattro secoli successivi, dando così origine al Talmud.
Tra il periodo biblico e la Mishnà e il Talmud ci sono alcuni secoli di assenza di letteratura ebraica ufficiale. C'è da aggiungere una cosa: tra i libri inseriti nel canone dei libri sacri ebraici, dopo lunghe discussioni, ce ne sono alcuni che hanno un contenuto talmente interessante o talmente bello dal punto di vista formale, che valeva la pena conservarlo. E appunto si pensava che proprio inserendoli nel canone, si sarebbero conservati più facilmente e sicuramente. Per es. questo può essere il caso del Cantico dei Cantici, che di religioso non ha nulla, tanto che in certi punti sembra rasentare la pornografia, ma essendo eccezionalmente bello formalmente, valeva la pena conservarlo. Però, dall'altra parte, c'è tutta una corrente, a partire dal grande rabbì Akivà, che riteneva anche il contenuto del Cantico molto spirituale e mistico, perché l'amore tra Dio e l'uomo è tanto intenso che può essere paragonato all'amore tra un uomo e una donna.
Anche il Qohelet ha subito una sorte molto simile a quella del Cantico dei Cantici.
Per tornare a noi, rimane un fatto che tra la scelta dei libri appartenenti al canone ebraico e la Mishnà, passano alcuni secoli senza altra letteratura, se non, appunto, questi libri detti pseudo-epigrafici o deutero-canonici, cioè che vengono dopo il canone. Di questi libri non conosciamo esattamente l'autore.
Purtroppo quasi tutti questi testi sono pervenuti in lingua non ebraica. Anche se ultimamente, col ritrovamento dei rotoli del Mar Morto, sono venuti alla luce dei frammenti di questi libri scritti in ebraico.
Dall'esame di questi testi, risulta che sono stati scritti in ambienti ebraici e che quasi sicuramente la lingua originale è l'ebraico e sono poi stati tradotti.
Pare che ci siano dei giochi di parole, anche nel testo greco, che richiamano i giochi di parola propri della lingua ebraica.
Fra l'altro l'ebraico ha una forma poetica tanto particolare, che varia, nei libri biblici, da testo a testo, Ci sono i cosiddetti "Libri di verità" - Sifré emèt, che sono Giobbe, Proverbi e i Salmi, in cui viene usata una forma poetica tutta propria. Emèt è formata dalle iniziali di questi tre libri: alef per Giobbe-'Iiòv; mem per Proverbi-Mishlé e Tau per Salmi-Tehillìm.
Fra le regole della poesia ebraica c'è l'artifizio dell'oggetto interno, cioè dire: "Ti amo di amore", adoprare lo stesso verbo che ritorna più volte.
Un altro artifizio è lo scioglilingua, cioè la ripetizione sistematica e ritmica di determinate consonanti. Questo elemento lo troviamo anche nel libro di Susanna.
Credo quindi che questi libri "esterni" andrebbero studiato molto attentamente, anche dal punto di vista della lingua.
Per es. della storia di Susanna esistono tre versioni, con delle piccolissime varianti. Qual è quella giusta? Quella dei Settanta o di Teodosio o di chi?

La storia di Susanna è inserita nel libro di Daniele e questo è già un problema, perché il libro di Daniele è molto difficile. Intanto perché è scritto in notevole parte in aramaico e poi il contenuto ha dato e sta dando del filo da torcere a tutti gli interpreti come ai nostri maestri dell'antichità, perché sembra emergano delle datazioni. Ma gli studiosi dicono che chi trae delle conclusioni da questo libro, sbaglia certamente.
Nelle versioni cattoliche del libro di Daniele compaiono tre elementi che mancano nel testo ebraico: la preghiera di Daniele e dei suoi compagni, la storia di Susanna e la storia di Bel e il drago, anche questa una storia fantastica.
Il mio punto di vista è: io mi riconosco nel testo fissato dalla tradizione ebraica, ma con la mia intelligenza devo occuparmi anche degli altri testi.
La storia di Susanna penso sia nota: la sua bellezza, la sua probità, l'accusa ingiusta, la condanna a morte e poi la liberazione da parte di Daniele.
I grandi studiosi dicono che sicuramente questa storia è molto antica, probabilmente risalente a uno o due secoli prima dell'Era volgare.
Traduco dalla traduzione ebraica della storia rifatta dal testo greco della Settanta.
"Susanna era molto bella e temente di Dio e i suoi genitori erano giusti e avevano educato la loro figlia secondo la legge di Mosè… Ioiachìm il marito era molto ricco e aveva un giardino nel quale confluivano molte persone …" e la storia prosegue, con l'apparizione dei due giudici iniqui. Il testo parla di anziani, ma non vuol dire che fossero vecchi, ma erano persone importanti, guide del popolo.
Questi due si invaghiscono di Susanna e le chiedono di cedere alle loro richieste. Ma al suo diniego, loro l'accusano di aver commesso adulterio con un giovane. Viene accusata in tribunale e la sentenza di morte cade su di lei. Ma Daniele riesce a smontare le accuse dei due giudici, interrogandoli separatamente e facendo rilevare che le loro testimonianze non coincidevano e così Susanna è liberata, mentre i due sono condannati e messi a morte.
Avete notato qualche analogia? Vorrei proporvi la mia chiave di lettura, ma non perché mi diciate che sono bravo, ma perché da soli vi mettiate a ragionare, a confrontare dentro di voi.
Io vedo un'analogia col libro di Giobbe, perché inizia raccontandoci di un tale che abitava in una terra sconosciuta, ricco e onorato da tutti, ma a un certo momento gli succedono delle disgrazie, che potevano anche indurlo ad abbandonare Dio. Il libro è strutturato sulla discussione tra lui e i tre amici, ma nei loro discorsi non c'è soluzione, perché Giobbe continua a dire che Dio è ingiusto, visto che lascia accadere quelle cose, mentre gli amici affermano che le disgrazie di Giobbe sono la prova che lui ha dei peccati. Chi ci fa uscire da questa impasse è un giovane, che inizia a parlare alla fine e dà la soluzione, accusando gli altri di aver detto solo sciocchezze. Afferma che noi non siamo in grado di comprendere il comportamento di Dio, una giustizia che prescinde dalla nostra. Questa figura del giovane, mi fa pensare molto a Daniele.
Nella prima versione, quella più accettata e non ritorna nelle altre, il testo dice così: "Venne un inviato di Dio e gettò il fuoco contro i due… perciò i giovani sono molto cari in mezzo a Israele per la loro semplicità e la loro onestà e noi dobbiamo fare attenzione che i giovani siano ragazzi di valore e che diventino tementi di Dio e ci sia in loro uno spirito di intelligenza e di conoscenza per sempre".
C'è un'esaltazione dei giovani e l'invito a educarli con attenzione.
Forse una piccola accusa nei confronti della generazione più anziana: "Impara dai giovani, perché loro sono più onesti di quanto possiamo essere noi".
E guarda caso nelle altre versioni questa frase è stata tolta.
Un'ultima cosa. Nel libro, oltre a esserci questa ricostruzione di leggenda su questa donna bellissima, è detto che i giudici vengono giustiziati in base alla legge dei testimoni falsi. Qui c'è una deformazione, perché le cose non vengono raccontate secondo la Legge scritta nel Deuteronomio. Parlo di particolari. Il Deuteronomio, parlando di diritto penale, dice che per le accuse molto gravi, quelle che comportano la pena di morte, il giudice deve tener conto non tanto della confessione o delle dichiarazioni dell'imputato, ma dei testimoni. I testimoni sono elemento fondamentale, secondo la legge biblica, del diritto penale. E devono essere due, assolutamente affidabili, di provata onestà, non parenti, amici o nemici tra di loro, quindi assolutamente estranei e non parenti, amici o nemici delle parti in causa. E' difficile trovare due persone così. Questi testimoni devono non solo attestare sul fatto, ma anche sull'aver avvertito l'imputato della loro presenza. Cioè dire a chi sta commettendo il delitto che loro sono lì e vedono! Cosa strana! Nel caso che i testimoni siano riconosciuti falsi, perché vengono smentiti da altri testimoni più credibili, ad essi viene comminata la stessa pena che sarebbe stata comminata all'imputato se riconosciuto colpevole. Nel nostro caso questo non avviene, perché i giudici iniqui vengono buttati in una fossa e non bruciati, come sarebbe successo a Susanna. Allora o qui viene dimenticata la normativa ebraica, oppure viene riferita in modo incerto.
Vi invito a rileggere il testo, ma tenete conto del fatto che dal punto di vista prettamente critico, c'è molto da dire su questo testo.


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