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Il Midrash Tanchumà
(Rav Luciano Meir Caro)


Prima di entrare nell'argomento specifico del Midrash Tanchumà, vorrei dirvi alcune cose riguardo al Midrash più in generale. Il termine Midrash deriva dal verbo ebraico lidròsh, che vuol dire "ricercare", nel senso di cercare di entrare in profondità nel significato delle parole e dei testi. Nel Pentateuco troviamo questa parola in relazione alla ricerca che i giudici devono portare avanti nei processi, sia per evidenziare i fatti accaduti, sia per interrogare i testimoni. Sapete che nel diritto penale ebraico la presenza dei testimoni è fondamentale, perché tutto l'esito dei processi dipende dalle loro testimonianze. Quindi sta nella capacità dei giudici il cercare di tirar fuori il massimo possibile di verità.

Poi questa stessa radice si trova nel libro del Qohelet nel senso di indagare profondamente sugli argomenti. Dalla radice darash, indagare, ricercare, viene il sostantivo midrash, che vuol dire ricerca, ma poi è venuto a significare un tipo specifico di ricerca, quella che porta a cercare di capire il testo biblico in particolare. Questo compare già nel libro di Esdra. Esdra, infatti, dopo il ritorno del popolo di Israele dall'esilio di Babilonia, cerca di riorganizzare tutta la vita della società e pone attenzione anche in modo particolare sul rapporto con le Sacre Scritture di Israele. Tutto il lavoro che occorre fare per cercare di accostarsi al testo, di comprenderlo, di approfondirlo si chiama Midrash.
Questo in generale. Poi più in particolare ancora, dal punto di vista tecnico, i nostri maestri distinguono due tipi di midrashìm. C'è il midrash halachà, cioè la normativa, la strada che dobbiamo seguire nei comportamenti. Il midrash si propone di estrapolare dal testo biblico, in particolare dalla Torah, quello che è il comportamento. Abbiamo detto tante volte che il testo biblico è molto generico, per cui solo con questo non riusciremmo a capire come dobbiamo comportarci. Per es. il testo dice: "Non lavorare di Shabbàt". Ma cosa vuol dire lavorare? E tante altre domande. Lo stesso vale per: "Rispetta i genitori"; ma come si fa a rispettare i genitori? Ecc. ecc. La Torah è fatta di principi generali, che vanno calati nella quotidianità attraverso questa indagine. Indagine che, secondo la nostra tradizione, è molto limitata, nel senso che, per estrapolare la nostra normativa dalla Torah, noi siamo vincolati a delle regole ferme, perché se non fosse così, ognuno estrarrebbe dal testo biblico la norma che gli è più congeniale, che più gli conviene. La norma deve essere per definizione uguale per tutti.
I nostri maestri hanno inventato 13 regole, che servono per estrarre dal testo biblico la normativa sul piano pratico. Alcune sono facilissime, alcune meno. Tra quelle meno facili, posso farvi un esempio. Quando ci sono norme in contrasto tra loro, come si fa a capire a quale delle due bisogna dare valore? La regola è che se non troviamo un terzo testo che le metta d'accordo, le consideriamo come inesistenti.
Invece abbiamo anche il midrash haggadah, cioè il racconto. Questo tipo di midrash si propone di estrapolare dal testo da tutte le possibili varianti, con la massima libertà, limitata soltanto dal buon senso e dall'onestà. Non devo pensare che la mia sia l'unica esclusiva interpretazione. Nel midrash non c'è una logica e perciò c'è la norma che non bisogna fare domande sul midrash, appunto perché c'è libertà di interpretazione.
Inoltre il midrash si propone di vivificare i personaggi o le situazioni, con un grandissimo amore verso il testo, che va studiato, manipolato da tutte le angolature possibili. Il lavoro del midrash cerca di colmare i silenzi del testo biblico.
I nostri maestri dicono che i modi che possiamo adoperare per arrivare alla comprensione del testo sono 32. Perché 32? Perché il numero 32 in ebraico dà la parola lev, cioè cuore nel senso biblico, ovvero la mente. Quindi vuol dire che possiamo e dobbiamo adoperare tutte le nostre capacità mentali per arrivare alla comprensione del testo.
Inoltre le due lettere che compongono la parola lev, la lamed e la bet, sono le due lettere con cui inizia e finisce la Torah.
Dal punto di vista storico, siamo a circa 400 anni prima dell'era volgare, al tempo di Esdra, quando è cominciata questa indagine, che veniva fatta o dai grandi studiosi, oppure pubblicamente, nel culto sinagogale, dal rabbino, che ogni settimana approfittava della liturgia pubblica, per affrontare un passo biblico, presumibilmente quello che veniva letto in quella settimana, per proporre delle interpretazioni. Partendo da considerazioni paradossali, per cercare di attirare l'attenzione degli ascoltatori. Il maestro presupponeva che il suo pubblico conoscesse a memoria il testo biblico e quindi non raccontava la storia pari pari, ma cominciava a dire qualcosa di strano, che non centrava niente, in modo da suscitare l'attenzione.

Ancora oggi il rabbino fa così, per stimolare l'attenzione della gente, o su un passo o su singoli elementi di un passo. Il lavoro consiste nel cercare di rendere vivo il testo biblico di 5000 anni fa, per portare la gente a pensare a come si sarebbero comportati loro, personalmente, se si fossero trovati nella situazione descritta dal testo.
Vi faccio un esempio. Abramo riceve la chiamata di Dio: "Va nella terra che ti faccio vedere". Abramo parte e a un certo momento Abramo si accorge che c'è una carestia e quindi, essendo le sue greggi in pericolo, va in Egitto, dove la carestia non c'è, per via del  Nilo. Tenete conto che nel testo biblico c'è da una parte l'esaltazione dei personaggi, ma c'è anche la denigrazione, perché anche loro hanno pregi e difetti.
Insomma, questo Abramo, che ha ricevuto la chiamata di Dio, va in Egitto, pur sapendo che gli abitanti di Egitto sono estranei e selvaggi. E una volta là, dice a sua moglie Sara di farsi passare da sua sorella, per paura di essere ucciso a causa di lei. Questo è il testo e lo comprendiamo tutti.
Ma se lo guardiamo più in profondità, iniziano i problemi. Dice il testo che quando Abramo arrivò in Egitto, videro gli egiziani che Sara era molto bella. Crea problema questa cosa?
Apro una parentesi. Prima di arrivare in Egitto Abramo dice a Sara: "Ecco, so che sei una donna di bell'aspetto". Sembra che Abramo si accorga di questo solo adesso, quando ha paura che gliela portino via. Cerchiamo di capire meglio. Il midrash cerca questo tipo di risposte.
Il testo dice: "E fu quando Abramo entrò in Egitto, gli Egiziani videro la donna che era molto bella di aspetta, ne parlarono a Faraone, che la mandò a prendere".
Notate il verbo al singolare? Perché?, entra solo Abramo e non Sara. Il midrash giustifica questo, dicendo che Abramo, per paura, fa nascondere Sara e quindi ufficialmente è solo Abramo che entra in Egitto. Ma gli Egiziani videro lei, cioè i funzionari della dogana, che hanno ispezionato la carovana di Abramo.
Vedete cosa fa il midrash?
Vi faccio un altro esempio, prendendo la storia di Mosè. Mosè ammazza l'Egiziano, scappa, incontra la donna che sposa, si mette a fare il pastore. Il testo non lo dice, ma tutto fa pensare che Mosè per 40 anni abbia fatto il pastore in Midian, ma in questi 40 anni cos'ha fatto? Faceva l'Egiziano, l'ebreo, quali erano i suoi rapporti con la moglie, la famiglia di lei? Faceva il pastore. Il testo dice solo questo. Allora il midrash dice: vedendo come lui si comportava con le pecore, Dio capisce che gli può affidare il suo popolo.
Quando Dio crea le cose, congegna le cose in modo tale che prima crea la medicina e poi la malattia. O viceversa? Noi vediamo il nostro mondo come un susseguirsi di cose casuale, ma non è così. Il midrash dice che ogni cosa è al suo giusto posto. In Genesi leggiamo che Dio crea e poi dice che l'oscurità era sulla superficie dell'abisso. A questo punto Dio crea la luce. Allora tutto quello che ha fatto prima, dov'era? Si tratta di interpretare il termine oscurità e il termine luce. Ma non dovete accettare per buono quello che dice il midrash, perché se l' accettate così, sbagliate. Anzi, dovete dire che non è vero, per ricercare voi stessi un altro senso. Il midrash suggerisce che oscurità vuol dire morte e la luce vita. Ma come? Non doveva prima creare la vita e poi la morte?
Ho fatto solo alcuni esempi, per darvi un'idea.
Come dicevo prima, circa 400 anni prima dell'era volgare iniziano a nascere i primi midrashìm: la Mechiltà, che è una raccolta sull'Esodo; il Sifrà sul Levitico, ecc.
Chi ha messo per iscritto questi testi sono i maestri della Mishnà, che cominciano a raccogliere delle tradizioni orali di 500 anni.
Finalmente troviamo, tra i vari midrashìm, il midrash Tanchumà. Non so di preciso cosa significhi questo nome. Viene dalla radice nachàm, che vuol dire "consolare", ma non mi sembra un testo che consoli molto! Semplicemente il nome viene dal fatto che uno dei maestri più citati si chiamava rabbì Tanchumà.
Viene chiamato anche: "Midrash yelammedeu", che significa "colui che ci insegna".
Questo è un midrash relativamente tardo, forse risalente al VII_IX secolo. E' interessante e stimolante, perché non esiste una versione completa e coordinata, ma ne esistono almeno due versioni, anche in contrasto tra di loro e non sappiamo quale sia la giusta, quale la sbagliata.
Questo midrash è scritto in ebraico e aramaico mescolato, ma ci sono anche parole greche e latine. Rientra nella visione generale che abbiamo visto finora.
Aggiungo un'altra cosa. Tutto questo lavorio per interpretare il testo biblico in senso omiletica viene fatto ancora oggi nelle sinagoghe. Ma non è passato liscio, perché c'è sempre qualcuno che contesta le interpretazioni.

Fin dagli inizi è stato così, per es. tra i Sadducei e i Farisei, che hanno litigato per decenni. Ancora oggi discutiamo tra di noi, perché da una parte c'è chi valorizza il midrash, c'è chi invece non li considera molto. Ma gli Ebrei discutono su tutto!
Sappiamo che la disputa tra Sadducei e Farisei riguardava la risurrezione. L'essere umano è costituito da una parte materiale e una parte spirituale. La parte materiale muore, mentre quella spirituale non se ne va, ma rimane. I Sadducei diceva che l'esistenza di una parte spirituale è chiarissimamente espressa dal testo biblico, mentre gli altri lo negavano. Quando nel testo biblico si parla dei morti, si dice che "giacque coi suoi padri". Alla fine del Deuteronomio Dio dice: "Io do la morte e do la vita". ecc. ecc. Queste discussioni accademiche si sono poi trasformate in lotta politica.
Il nostro Tanchumà dice, per es. riguardo ad Abramo: "Alla fine dei suoi giorni pensa: Devo preoccuparmi di trovare una moglie per mio figlio". Abramo dice che Abramo era vecchio, avanzato negli anni. Perché la Torah ripete il concetto due volte? Il midrash si domanda che cosa fa invecchiare l'uomo e dice che si invecchia a causa del timore, delle preoccupazioni che provengono dai figli, a causa delle mogli cattive, delle guerre, dei litigi. Sono provocazioni, queste!
Ma il midrash vuole farci riflettere sul fatto che il testo presenti questa ripetizione riguardo alla vecchiaia di Abramo.
Andiamo al racconto del sacrificio di Isacco. Abramo si mette in condizione di obbedire all'ordine di Dio. Il testo racconta che Abramo sta andando ad ammazzare suo figlio e camminano insieme per tre giorni. Non è crudele, questo? Isacco aveva 37 anni e perciò capiva tutto. Immaginate la domanda che lui fa al padre: "Vedo tutto, ma la vittima dov'è?". E Abramo risponde: "Dio provvederà". Non avrà pensato Isacco che suo padre era pazzo? E Abramo stesso cos'ha avrà pensato su Dio, che gli sta comandando una tale cosa?
L'autore del Midrash Tanchumà dice: "Dio mise alla prova Abramo". Cosa vuol dire questo? Forse che non sapeva come si sarebbe comportato? Allora non è onnisciente? Ma vuol dire veramente mettere alla prova? Chi è stato messo alla prova? Il punto è arrivare a pensare a noi e a chiederci cosa avremmo fatto noi, messi alla prova in questo modo? Il testo, insomma, sollecita noi a trovare la risposta.


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