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L'ANTICA SPIRITUALITA' DELLA CHIESA ETIOPE


Un cristianesimo fiorito nell'isolamento
  La religione etiopica ha connotazioni molto originali, uniche;  è cristiana, ma rispetto al cristianesimo occidentale e orientale, presenta straordinarie singolarità che le conferiscono un'aura di arcaismo. Forse il mistero più grande sta nelle sue origini, avvolte nella leggenda.  E a queste origini la chiesa etiope  è rimasta fedele per millenni, poggiando su un impianto teologico che ha resistito a ogni innovazione e trasformazione.
   Sulle misteriose origini salomoniche della religione etiopica avevo qualche notizia, ma un recente viaggio in Etiopia (organizzato dal Centro Turistico ACLI di Ravenna) mi ha portato proprio nel cuore di questo mistero. Non abbiamo documenti certi, ma possiamo presumere che gli Etiopi conoscessero gli scritti di Israele, e osservassero la Legge di Mosè molto prima dell'epoca cristiana, quando i popoli circostanti erano ancora legati a riti primitivi. Sappiamo solo che, nell'anno 1099, i Crociati, entrati in Gerusalemme, trovarono inaspettatamente, a presidiare il Santo Sepolcro, i rappresentanti di alcune comunità cristiane sopravvissute entro i confini del dominio arabo e, tra queste, i monofisiti d'Egitto e d'Etiopia. Nei secoli precedenti l'Etiopia era vissuta in totale isolamento, perfino la sua posizione geografica era sconosciuta in Occidente. Ma all'insaputa del mondo vi era fiorito un cristianesimo tanto tenace da diventare parte integrante del tessuto sociale, un vero bastione che si opponeva all'espansione dell'Islam.
  Dunque la Chiesa etiope, la prima a diffondere il messaggio di Cristo in una terra dell'Africa nera, non è il risultato dell'opera missionaria europea, ma è fiorita in un tessuto religioso e culturale già giudaicizzato, ben prima di tante cristianità d'Europa.

Discendenza salomonica
  Visitando le  rovine di Axum, abbiamo appreso che l'impero di cui questa città era capitale fu il più antico della storia dell'Africa: il suo sovrano era il negus neghesti o "re dei re", discendente dalla stirpe regale di Menelik, figlio di Salomone. Su questa leggenda si è fondato per millenni il potere e l'orgoglio della dinastia più longeva del mondo, che ha retto l'impero etiopico dal 1000 circa avanti Cristo fino  al  1974, quando Hailè Selassiè, 225° sovrano della stirpe salomonica,  ultimo negus, fu deposto.
  La discendenza salomonica, che portò nella stirpe reale le tracce di una volontà divina, fa degli Etiopi un popolo eletto. Menelik fece proprio il simbolo ebraico del Leone di Giuda che campeggiò nella bandiera etiope fino pochi decenni fa. Quanto all'Arca dell'Alleanza, che, sempre secondo la leggenda, il figlio africano di Salomone portò da Gerusalemme in Etiopia, si dice che questo biblico cimelio sia conservato in una cappella presso la città di Axum, ma i monaci hanno la severa proibizione di mostrarlo a chiunque.

L'evangelizzazione dell'Etiopia
  L'evangelizzazione dell'Etiopia ebbe inizio nel IV secolo ad opera di Frumenzio, un monaco siriano che, naufragato lungo le coste del mar Rosso, fu condotto alla corte del Negus. Da lui il popolo etiope accettò il cristianesimo come naturale continuazione della fede salomonica, stabilendo uno stretto rapporto di continuità fra Antico e Nuovo Testamento. La successiva evangelizzazione delle varie etnie  avvenne nel corso dei secoli successivi ad opera di missionari siriani che portarono in Etiopia un credo pre-calcedonico, detto impropriamente  monofisita. Il loro atteggiamento contemplativo alimentò un forte movimento monastico che portò alla formazione di una chiesa solida e fortemente integrata nella vita sociale e politica del regno. Durante il nostro medioevo, la Chiesa etiopica, arroccata su un impervio altipiano e lontana da altri centri cristiani, all'interno di un territorio quasi interamente islamizzato, è sopravvissuta indisturbata e protetta dalla natura: ha creato e tramandato cerimonie imponenti, ricche di ori, musiche e canti, che si compiono nelle molte feste dell'anno liturgico.

Liturgia etiope
   Noi abbiamo assistito a parte delle cerimonie pasquali nella chiesa del monastero di Debre Birhan Sellasie a Gondar, quella che ha il soffitto completamente dipinto di innumerevoli visi di angeli dai grandi occhi che ti scrutano. I riti consistenti in interminabili litanie, salmodie, letture sacre, si sono protratti tutta la notte, fra i fedeli seduti a terra, avvolti in bianchi veli. Sono giunti in massa dai villaggi vicini, un vero esodo, portando con sé gli animali per il banchetto che sarebbe avvenuto il giorno seguente, dopo 40 giorni di digiuno. Ma la festa più spettacolare è quella del Timkat, l'Epifania o Battesimo di Cristo: la nostra guida ce ne ha descritto le varie fasi, fra cui il rinnovo dei voti battesimali realizzato con un bagno comune in acque santificate.

Concezione cristologica
  La concezione cristologica etiope non è monofisita in senso stretto, perché afferma che Gesù Cristo ha natura divina, ma  è entrato nella storia racchiuso in un corpo umano come in uno scrigno. Certo per gli Etiopi  l'umanità di Cristo è meno evidente della sua divinità, e nelle stupende croci tipiche dell'arte etiope non viene quasi mai riprodotto il crocefisso. Tuttavia, l'umanità di Cristo viene affermata con la figura simbolica del Nuovo Adamo. Mediante lo Spirito Santo, Cristo ha ricevuto la dignità che aveva Adamo prima del peccato originale, diventando perciò il secondo Adamo: l'Adamo obbediente che si sacrificherà sulla Croce per la salvezza del mondo.  
   Questa dottrina è stata dichiarata da Pio XII sostanzialmente in sintonia con quella cattolica. Nell'Enciclica Sempiternum Rex Christus del 1951, il papa affermò che il monofisismo etiopico è un monofisismo puramente verbale, e che il dissidio fra cristiani d'Etiopia e cattolici è dovuto unicamente ad una diversità di termini. Purtroppo tale diversità  non si è  potuta superare né col Concilio di Ferrara-Firenze del 1442, né con la  missione gesuita del XVI secolo, la quale fallì per l'eccessiva severità con cui cercò  di operare nella chiesa etiope una latinizzazione completamente estranea alle forti tradizioni locali.

Pittura religiosa etiope
  Col suo secolare isolamento la religione etiope ha sviluppato una ricchezza culturale e un'arte sacra molto particolari. Una di queste ricchezze sono gli antichissimi manoscritti in pergamena, con copertine in legno e pelle, che ci sono stati mostrati soprattutto nei monasteri: si pensa che esistano almeno 500.000 volumi originali, molti dei quali magnificamente illustrati. Essi raccontano soprattutto avvenimenti legati alla religione e sono redatti nell'antica lingua liturgica, il. ge'ez, di derivazione semitica. In Etiopia abbiamo poi un'arte pittorica diffusa all'interno delle chiese, oltre che sui libri, su  rotoli di pergamena, su tela o  legno. I primi pittori si ispirarono a soggetti contenuti nei vangeli provenienti, nei primi secoli dell'era cristiana, dal Mediterraneo e dai paesi del Medio Oriente e questi modelli influenzarono, durante 10 secoli di isolamento, i successivi artisti che continuarono a riprodurre, senza sostanziali alterazioni, lo stile originale. In questi dipinti, che rappresentano in genere la vita di Gesù, di Maria, dei santi, ed edificanti leggende spesso a noi ignote, c'è  una lontana influenza stilistica bizantina, soprattutto nella mancanza di prospettiva, di chiaroscuro, ma con l'aggiunta di una forte dose di ingenuità che possono farli definire naif. I visi, dagli enormi occhi fissi, sono rappresentati da diverse prospettive e con diversi colori per connotarne le caratteristiche  spirituali: ad esempio i buoni vengono ritratti di fronte, i cattivi di profilo, il viso del diavolo è colorato in nero, e così via.

Architettura religiosa etiope
  Ma è l'architettura religiosa etiope a comunicare le più farti impressioni, in particolare quella rupestre: il punto più alto di questa arte è raggiunto nella città santuario di Lalibela, completamente scavata nella roccia nel XII e XIII secolo. Si tratta di un complesso di  12 chiese rupestri, scolpite nel tufo rosso. Il complesso è  concepito a imitazione dei luoghi della Terrasanta: comprende infatti un insieme simbolico di edifici-sculture finalizzati alla manifestazione del mistero del sacro, ed è separato dalla montagna circostante da una profonda trincea che isola la città della preghiera dal resto del mondo. Nonostante la varietà di queste claustrofobiche  strutture, i singoli edifici vengono vissuti come un complesso unico devozionale, disposti lungo un percorso orientato liturgicamente da ovest a est, cioè dall'ombra del peccato alla luce del Salvatore.    Attraverso tunnel scavati nella roccia,  ponticelli di pietra, strette gole e sentieri impervi si passa da un edificio all'altro, fino alla tomba di Adamo, primo uomo e primo peccatore, un monolite cavo posto all'ingresso occidentale della trincea, collegato idealmente al monte Golgota, un simulacro del luogo dove Cristo ha vinto la morte. Nello stesso vano un altare è dedicato al monte Sinai, a ricordo del dono del Decalogo di Mosè, e questo sovrappone teologicamente la Legge antica al messaggio evangelico. La chiesa denominata Bet Ghiorghis, capolavoro dell'arte rupestre, ricavata all'interno di un unico blocco di pietra, dalla perfetta pianta a forma di croce, conclude il suggestivo percorso.
   In tutte le chiese etiopi l'articolazione spaziale simbolica prevede, nella parte più interna, un luogo sacro riservato ai sacerdoti, una sorta di Sancta Sanctorum, dove è custodita una riproduzione dell'Arca contenente le tavole della Legge (tabot), celate da ricchi drappi.
  Un altro tipo di edificio di culto, più recente, ma pure particolare, risalente al secolo XVII, dopo la guerra vittoriosa contro gli islamici, è la chiesa a pianta circolare, in legno o legno e pietra, che richiama la struttura della capanna indigena. La maggiore che abbiamo visitato è quella di Maryam Zion ad Axum,  costruita accanto alle grandi stele axumite. Questa volontà di rinascita dopo il pericolo islamico si tradusse anche nella maggior ricchezza dei cicli pittorici. L'area  interna di queste chiese, destinata alle celebrazioni, è divisa in tre anelli concentrici: il più vicino al centro è riservato a chi vive in condizioni di purezza, e può partecipare al rito della comunione; tutt'intorno un deambulatorio circolare è riservato a musicanti e ai fedeli. I più umili, che si sentono indegni, si situano nel cerchio più esterno. Questo maggiore o minore avvicinamento al divino è un elemento basilare della concezione teologica della spiritualità ortodossa etiope. Ma il tabot resta il fulcro visivo liturgico e il suo ruolo è esaltato dal motivo iconografico di schiere di cherubini.

Le croci  
  Un'altra particolarità dell'arte religiosa etiope, che ci ha molto colpito, sono le preziose croci dagli elaborati disegni che si conservano all'interno delle chiese. Su queste croci viene rappresentato in maniera simbolica il mistero della salvezza dell'umanità. L'estremità del braccio inferiore simboleggia il sepolcro di Adamo, il che ci riporta alla leggendaria tomba di Adamo che si trova sotto la Croce di Cristo, nel Santo Sepolcro di Gerusalemme. Il simbolismo di Adamo sulle croci etiopiche è duplice: vi è l'Adamo che, col suo peccato, ci ha fatto perdere il Paradiso, e vi è Cristo, il Nuovo Adamo, che distende le braccia per abbracciare tutti coloro che credono in lui. La vita eterna, perduta con il peccato di Adamo, ci viene restituita con il sacrificio del Nuovo Adamo, il Cristo. Con questa allegoria i cristiani d'Etiopia rappresentano la natura umana di Cristo, superando così il monofisismo. Ogni volta che siamo entrati in una chiesa, il sacerdote ci è uscito incontro con una di queste croci e ci ha benedetto, dopo aver accettato di recitare con noi il Padre nostro in lingua amarica.

 
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